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Capristo, atto finale

Luciano Capone

Dal Petruzzelli a Trani. La storia del procuratore di Taranto (arrestato) racconta 30 anni di malagiustizia

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Roma. Il procuratore capo di Taranto Carlo Maria Capristo, colui che si sta occupando dell’Ilva, è finito agli arresti domiciliari con l’accusa di abuso d’ufficio e favoreggiamento. La procura di Potenza sostiene che Capristo avrebbe tentato di pilotare alcune indagini della procura di Trani, da lui guidata fino a qualche anno fa. Insieme a lui è indagato anche il suo successore, l’ex procuratore di Trani Antonino Di Maio, e i facoltosi imprenditori pugliesi Mancazzo. Secondo i magistrati potentini, il procuratore di Taranto, un ispettore di polizia e i Mancazzo (“legati a Capristo”) avrebbero compiuto “atti idonei in modo non equivoco” a indurre una giovane pm, Silvia Curione, della procura di Trani a perseguire penalmente, senza che ci fossero i presupposti, una persona che gli imprenditori pugliesi avevano “infondatamente denunciato per usura”, in modo da poter ottenere i vantaggi economici e i benefici di legge relativi alle vittime di usura. La pm Curione si è reso conto che le cose non andavano e ha fatto una denuncia, da cui è partita l’inchiesta.

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Roma. Il procuratore capo di Taranto Carlo Maria Capristo, colui che si sta occupando dell’Ilva, è finito agli arresti domiciliari con l’accusa di abuso d’ufficio e favoreggiamento. La procura di Potenza sostiene che Capristo avrebbe tentato di pilotare alcune indagini della procura di Trani, da lui guidata fino a qualche anno fa. Insieme a lui è indagato anche il suo successore, l’ex procuratore di Trani Antonino Di Maio, e i facoltosi imprenditori pugliesi Mancazzo. Secondo i magistrati potentini, il procuratore di Taranto, un ispettore di polizia e i Mancazzo (“legati a Capristo”) avrebbero compiuto “atti idonei in modo non equivoco” a indurre una giovane pm, Silvia Curione, della procura di Trani a perseguire penalmente, senza che ci fossero i presupposti, una persona che gli imprenditori pugliesi avevano “infondatamente denunciato per usura”, in modo da poter ottenere i vantaggi economici e i benefici di legge relativi alle vittime di usura. La pm Curione si è reso conto che le cose non andavano e ha fatto una denuncia, da cui è partita l’inchiesta.

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Per Capristo dev’essere stato una specie di déjà vu. Nel 1995, sempre la procura di Potenza, aprì un’inchiesta che fece tremare il Palazzo di giustizia di Bari, quella sui rapporti con Francesco “Cicci” Cavallari, il “re Mida” della sanità pugliese. L’accusa era che alcuni magistrati, in rapporti con Cavallari, avrebbero ostacolato le inchieste sulle truffe delle case di cura dell’imprenditore. Tra gli indagati c’era anche il giovane sostituto Capristo, che come gli altri venne completamente prosciolto.

 

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La procura di Potenza, i rapporti con gli imprenditori, le accuse. Sono molte le similitudini. Il déjà vu per Capristo è allo stesso tempo un brutto ricordo e un buon auspicio, visto poi l’esito positivo dell’inchiesta di allora. Ma al di là delle vicende processuali – che spettano ovviamente a tribunali, giudici e avvocati – ciò che davvero sorprende, ripercorrendo la carriera di Capristo dagli inizi a oggi, è come sia stato possibile che il Csm lo abbia sempre promosso e nominato al vertice di importanti procure nonostante i risultati disastrosi.

 

Capristo è diventato una star della magistratura negli anni Novanta per l’inchiesta sull’incendio del teatro Petruzzelli di Bari nella quale, sulla base della testimonianza di un malato terminale incapace di sostenere un interrogatorio, era stato arrestato l’ex gestore del teatro, Ferdinando Pinto – colui che aveva rilanciato il Petruzzelli – con l’accusa di aver commissionato alla malavita il rogo del teatro allo scopo di intascare i soldi dell’assicurazione. La testimonianza alla base dell’arresto di Pinto è, probabilmente, una delle pagine più vergognose della giustizia italiana. La raccontò, proprio sul Foglio, il 3 marzo 1998, Lino Jannuzzi. Capristo e altri inquirenti si presentano in una clinica a Catania, vestiti da medici e con un informatore incappucciato che ha il “cartomante”, per interrogare un musicologo amico di Pinto malato di Aids, moribondo e incapace di parlare. Sulla base di alcuni rantoli e di un mignolo alzato (“conferma che quella persona era magra”) si arriva all’arresto di Pinto, che verrà completamente assolto dopo 20 anni.

 

Nel frattempo, Capristo è diventato capo della procura di Trani, uno degli uffici giudiziari divenuti celebri in tutto il mondo per le inchieste finite nel nulla sulle agenzie di rating e sui complotti della finanza mondiale contro l’Italia. Sempre tutti assolti o archiviati. Sempre a Trani Capristo si è reso protagonista di un’altra disonorevole indagine sulla fantomatica correlazione vaccini-autismo, basandosi sulle teorie di un medico antivaccinista nonostante l’ufficio epidemiologico della regione avesse denunciato in procura la pericolosa “opera di disinformazione” di quel medico. La procura guidata da Capristo è diventata famosa prima per le sue assurde inchieste dei suoi pm e poi per le inchieste sui suoi pm. Trani è al centro di un grosso scandalo giudiziario, fatto di compravendite di sentenze e taglieggiamenti ai danni degli imprenditori: sono tre i magistrati a processo e uno ha già ammesso di aver preso tangenti. Altri due pm di Trani sono stati condannati in primo grado per violenze: hanno cioè tentato di forzare due testimoni ad accusare un indagato.

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A guidare il lavoro di questa procura – dove ancora oggi ha i suoi “fedelissimi” – c’era Capristo, che non si è mai accorto di nulla. Nessun problema. Almeno per il Csm, che lo ha sempre promosso, da ultimo con la nomina a capo della procura di Taranto, quella che si sta occupando (della chiusura) dell’Ilva. Alla fine il problema della giustizia non sono i Capristo, ma chi gli fa fare carriera.

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