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Sui trojan, la Corte si gioca l’autonomia del Parlamento

Ermes Antonucci

Il deputato Ferri lamenta una ì"lesione delle sue prerogative costituzionali" di parlamentare per essere stato "illegittimamente sottoposto, in via indiretta, a intercettazione di conversazione"

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Svolta nello scandalo, esploso lo scorso giugno, sulle presunte nomine pilotate al Consiglio superiore della magistratura. La vicenda è curiosamente sparita dal radar degli organi di informazione, a dispetto del clamore mediatico iniziale e delle continue fughe di notizie. L’11 marzo, però, la Corte costituzionale sarà chiamata a pronunciarsi sull’ammissibilità del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato da Cosimo Ferri, deputato di Italia Viva e magistrato in aspettativa, nei confronti del procuratore generale della Cassazione e del capo della procura di Perugia, da cui partì l’inchiesta per corruzione incentrata sul pm Luca Palamara. Ferri, infatti, fu tra le persone intercettate, attraverso il trojan inoculato nello smartphone di Palamara, nella famosa riunione avvenuta in un hotel romano con lo stesso Palamara, cinque consiglieri togati del Csm (poi tutti dimessisi) e il deputato dem Luca Lotti, e in cui si discusse delle future nomine ai vertici di alcune procure sparse per il paese, a partire da quella capitolina.

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Svolta nello scandalo, esploso lo scorso giugno, sulle presunte nomine pilotate al Consiglio superiore della magistratura. La vicenda è curiosamente sparita dal radar degli organi di informazione, a dispetto del clamore mediatico iniziale e delle continue fughe di notizie. L’11 marzo, però, la Corte costituzionale sarà chiamata a pronunciarsi sull’ammissibilità del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato da Cosimo Ferri, deputato di Italia Viva e magistrato in aspettativa, nei confronti del procuratore generale della Cassazione e del capo della procura di Perugia, da cui partì l’inchiesta per corruzione incentrata sul pm Luca Palamara. Ferri, infatti, fu tra le persone intercettate, attraverso il trojan inoculato nello smartphone di Palamara, nella famosa riunione avvenuta in un hotel romano con lo stesso Palamara, cinque consiglieri togati del Csm (poi tutti dimessisi) e il deputato dem Luca Lotti, e in cui si discusse delle future nomine ai vertici di alcune procure sparse per il paese, a partire da quella capitolina.

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Con il suo ricorso alla Consulta, Ferri lamenta una “lesione delle sue prerogative costituzionali” di parlamentare per essere stato “illegittimamente sottoposto, in via indiretta, a intercettazione di conversazione, in assenza dell’autorizzazione della Camera dei deputati”, nonché per essere stato sottoposto, sulla base di tali intercettazioni, all’azione disciplinare esercitata dal pg della Cassazione. La Consulta, insomma, dovrà stabilire se le intercettazioni compiute nei confronti di Ferri siano state casuali, e quindi legittime, o indirette, cioè con l’obiettivo di captare il deputato e quindi illegittime senza un’autorizzazione da parte della Camera. Secondo la Sezione disciplinare del Csm le intercettazioni furono “casuali”, eppure Ferri e Palamara avevano programmato l’incontro poche ore prima proprio al telefono. Non si tratta di una questione di lana caprina. In gioco c’è la tutela dell’autonomia e dell’indipendenza del Parlamento, ancor di più dopo l’approvazione definitiva di una riforma che ha esteso in modo massiccio l’uso di un mezzo di intercettazione così invasivo come il trojan.

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