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Abrogare la legge sulla prescrizione

Giovanni Fiandaca

E’ in gioco lo stato di diritto: il Pd non può arrendersi al panpenalismo grillino

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Ritengo che valga la pena insistere nel sollevare il problema del rapporto tra la cultura politica di questo governo e la giustizia penale (cfr. il mio precedente intervento su queste colonne del 2 gennaio). Che lo stesso Pd, quale attuale partner governativo, non sia in grado di contrastare la deriva punitivista sempre più incombente, o non voglia neppure farlo diventando addirittura complice del panpenalismo grillino, può sembrare comprovato da indicatori sintomatici che vanno al di là della ancora irrisolta questione prescrizione.

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Ritengo che valga la pena insistere nel sollevare il problema del rapporto tra la cultura politica di questo governo e la giustizia penale (cfr. il mio precedente intervento su queste colonne del 2 gennaio). Che lo stesso Pd, quale attuale partner governativo, non sia in grado di contrastare la deriva punitivista sempre più incombente, o non voglia neppure farlo diventando addirittura complice del panpenalismo grillino, può sembrare comprovato da indicatori sintomatici che vanno al di là della ancora irrisolta questione prescrizione.

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Leggendo un’intervista rilasciata pochi giorni fa dal ministro della Salute Roberto Speranza, apprendiamo infatti che per contrastare l’aumento delle aggressioni violente ai medici ospedalieri è quasi in dirittura di arrivo una nuova legge che inasprisce le pene per il reato di lesioni: legge che il ministro considera utilissima (anche se, beninteso, da sola insufficiente come rimedio) “perché dà un segnale di attenzione da parte dello Stato”, e che è stata non a caso già approvata in Senato “all’unanimità”.  

 

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A testimonianza del fatto – sempre secondo Speranza – che la condivisione dell’esigenza di salvaguardare gli operatori del Servizio sanitario nazionale consente di mettere da parte le divisioni politiche (cfr. l’intervista a Repubblica del 4 gennaio scorso). Una unanimità politica raggiunta nel punire più severamente, dunque. Orbene, se è vero questo orientamento unanime, ne deriva allora che anche il Pd concorda sull’opportunità di utilizzare per l’ennesima volta il rigore punitivo come un medium comunicativo. Cioè appunto allo scopo di certificare con la scelta repressiva che la politica prende sul serio il fenomeno negativo emergente, e di rivolgere perciò, sfruttando la valenza anche simbolica della sanzione punitiva, un segnale di attenzione e un messaggio rassicurante a quanti ne sono vittime reali o potenziali. Solo che ad assecondare ripetutamente questo uso simbolico-espressivo della legislazione penale, se domani dovessero affiorare ulteriori pulsioni aggressive ai danni ad esempio dei netturbini o di altra categoria, una aspettativa di eguale trattamento imporrebbe nuovi provvedimenti di inasprimento punitivo differenziati di volta in volta per tipi di professioni o mestieri. E così, potenzialmente, all’infinito! Purtroppo, è superfluo aggiungere che questo uso politico distorto del penale è tutt’altro che una novità dei nostri giorni, e da questo punto di vista lo stesso fronte progressista ha non pochi peccati risalenti nel tempo di cui dovrebbe una buona volta pentirsi e fare ammenda. Tanto più che è fondato il sospetto che l’abusato ricorso alla legge penale serva, soprattutto, a coprire l’incapacità politica di affrontare i problemi con strumenti di intervento più appropriati e risorse adeguate.

 

In ballo la qualità della democrazia

E torniamo, a questo punto, al tema della prescrizione. Rinviando per alcuni aspetti tecnici a un mio precedente articolo (sul Foglio del 12 dicembre 2019), qui mi limito a rimarcare il punto decisivo in termini di cultura politica. Si tratta di questo. La prescrizione, quale istituto di grande civiltà giuridica che coinvolge i fondamenti non solo del diritto penale ma più in generale dello stato di diritto, non dovrebbe essere trattata come una semplice questione politica fra le tante, come un tema che per quanto importante non riveste però una importanza maggiore rispetto agli altri di cui questo governo è tenuto a farsi carico, per cui sarebbe ingiustificato drammatizzarlo sino a pregiudicare l’alleanza rossogialla. Proprio riflettendo sui riflessi che la sua disciplina produce sui diritti fondamentali e sui destini esistenziali delle persone (non solo di quelle che delinquono effettivamente, ma anche se non soprattutto dei presunti colpevoli), ne emerge con chiarezza la intrinseca e molteplice rilevanza costituzionale, che in quanto tale trascende il piano della ordinaria agenda di governo e la stessa distinzione tra maggioranza e opposizione. Se è così, la decisione politica su come modificare la prescrizione implicherebbe, già in linea di principio, un consenso il più ampio possibile quale può derivare anche dal concorso delle forze di minoranza. Tesi stravagante di un anziano professore di diritto penale come chi scrive? In realtà, è il caso di rendere edotti i nostri politici – di destra o di sinistra – che nell’ambito della più aggiornata riflessione penalistica è andata prendendo piede l’idea che le leggi penali (in particolare, quelle che configurano reati punibili con pene detentive) hanno una sostanziale natura di leggi costituzionali, dal momento che incidono pesantemente sulla libertà personale e su altri diritti; da qui, la conseguente proposta – finora affacciata a livello teorico – di prevedere in futuro, nei testi costituzionali, maggioranze qualificate per le decisioni parlamentari in materia di delitti e pene detentive. Ecco che, in un simile orizzonte di pensiero costituzionalmente orientato, risulterebbe tutt’altro che inconcepibile o scandalosa una eventuale convergenza pure in punto di voto tra Pd e gruppi di opposizione nettamente contrari (ad esempio come Forza Italia) alla riforma Bonafede e intenzionati, pertanto, a cancellarla.

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Hanno dunque nella sostanza buone ragioni, ad esempio, Giuliano Pisapia o Emanuele Macaluso nel contestare ai dem di essere stati finora troppo remissivi o prudenti nel contrastare l’oltranzismo punitivista pentastellato. Il Pd, se fosse davvero interessato a rivendicare una identità più liberaldemocratica che giustizialista, dovrebbe avere la capacità e il coraggio politico di considerare la prescrizione non come un argomento di stretta maggioranza governativa, bensì appunto come una decisiva questione politico-costituzionale che attiene alla qualità della nostra democrazia, e quindi chiama in causa la responsabilità di tutte le forze in campo, al di là della logica di schieramento. Di conseguenza, un Pd davvero consapevole della posta in gioco, e politicamente coraggioso, non si dovrebbe limitare a tentare di controbilanciare la sciagurata riforma grillina (già peraltro entrata in vigore dal 1° gennaio) con modifiche volte ad accelerare i processi: dovrebbe puntare, innanzitutto, ad abrogarla del tutto eventualmente votando insieme a quanti vogliono eliminarla. Il rischio di una possibile (peraltro non certa) rottura dell’alleanza di governo impone di rinunciare a una battaglia di principio molto importante anche sotto il profilo dei valori identitari? Ma poi fino a che punto, sul terreno specifico del penale, i dem sono davvero culturalmente diversi dai pentastellati?

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