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Sono tornati gli Starsky & Hutch della giustizia italiana: Travaglio e Davigo

Ermes Antonucci

L'intervista rilasciata dall'ex pm di Mani Pulite al direttore del Fatto Quotidiano sembra più un dialogo allo specchio

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È tornata. La coppia più bella, anzi, più manettara del mondo: Marco Travaglio e Piercamillo Davigo. Gli Starsky & Hutch della giustizia italiana, col sogno di arrestare tutti i delinquenti, proprio loro, sono tornati a confrontarsi, in una lunga intervista pubblicata giovedì sul Fatto quotidiano, sui temi relativi alla prescrizione e alla lentezza dei processi. Ne è venuto fuori il solito manifesto di proclami giustizialisti: la riforma Bonafede che abolisce la prescrizione dopo la sentenza di primo grado è giusta perché l’Italia è piena di delinquenti e di colpevoli non ancora scoperti; gli avvocati sono degli azzeccagarbugli che aiutano i furbetti a farla franca; i politici non hanno fatto altro che rendere i processi più lenti con l’obiettivo di non finire in carcere; per velocizzare la giustizia basterebbe limitare il diritto di difesa previsto dalla nostra Costituzione.

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È tornata. La coppia più bella, anzi, più manettara del mondo: Marco Travaglio e Piercamillo Davigo. Gli Starsky & Hutch della giustizia italiana, col sogno di arrestare tutti i delinquenti, proprio loro, sono tornati a confrontarsi, in una lunga intervista pubblicata giovedì sul Fatto quotidiano, sui temi relativi alla prescrizione e alla lentezza dei processi. Ne è venuto fuori il solito manifesto di proclami giustizialisti: la riforma Bonafede che abolisce la prescrizione dopo la sentenza di primo grado è giusta perché l’Italia è piena di delinquenti e di colpevoli non ancora scoperti; gli avvocati sono degli azzeccagarbugli che aiutano i furbetti a farla franca; i politici non hanno fatto altro che rendere i processi più lenti con l’obiettivo di non finire in carcere; per velocizzare la giustizia basterebbe limitare il diritto di difesa previsto dalla nostra Costituzione.

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In verità, tale è la comunione di intenti fra il direttore del Fatto quotidiano e l’ex pm di Mani pulite (oggi componente del Consiglio superiore della magistratura), che i colloqui tra i due, più che a interviste, assomigliano ormai a un dialogo allo specchio, in cui non si comprende più chi sia l’intervistato e chi l’intervistatore, e in cui le parti si ribadiscono a vicenda sempre gli stessi identici concetti manettari.

 

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Così, ad esempio, se martedì sera, ospite di DiMartedì su La7, Travaglio smentisce che la riforma Bonafede renderà i processi eterni, perché senza prescrizione gli imputati finalmente sceglieranno il patteggiamento o il rito abbreviato, visto che “se hai la speranza di prescrizione, soltanto un cretino patteggerebbe una pena quando può ottenere pena zero”, ecco che poche ore dopo Davigo nel colloquio con Travaglio (o se stesso?) dichiara che sono pochi gli imputati che scelgono il patteggiamento o il rito abbreviato “perché conviene tirare in lungo e puntare alla prescrizione: meglio niente pena che una pena con lo sconto”, sottolineando che per questo “il blocco della prescrizione dopo il primo grado avrà effetti benefici”.

 

Così, se Travaglio sostiene che la colpa dell’alto numero di processi che finisce in prescrizione durante le indagini preliminari non è dei pubblici ministeri, perché “nelle classifiche Ocse i magistrati italiani risultano molto meno numerosi e molto più produttivi dei loro colleghi” (2 agosto), ma piuttosto della “lobby degli avvocati” (che però durante le indagini non possono toccare palla), ecco che Davigo al quotidiano spiega che “il fatto che molti processi si prescrivano in mano al pm non dipende dalla sua fannulloneria: i magistrati italiani sono, per le statistiche europee, i più produttivi della Ue”, aggiungendo che non è vero che i difensori non possano fare manovre dilatorie durante le indagini (senza spiegare, però, come).
Così, se Travaglio afferma che i partiti in Italia “hanno varato per vent’anni una raffica di leggi per allungare i processi” (29 dicembre), ecco che Davigo, parlando con Travaglio, dichiara che “il guaio è che chi tuona contro i processi lunghi in questi anni non ha fatto altro che allungarli”.

 

Così, se il 28 dicembre Travaglio avanza la sua ricetta forcaiola per velocizzare i tempi della giustizia: “depenalizzare i reati minori; abolire il grado d’appello; introdurre la reformatio in peius, che consente ai giudici d’appello di infliggere pene più alte di quelle appellate, scoraggiando le impugnazioni pretestuose; anticipare l’esecutività delle pene dopo il primo grado, onde evitare le impugnazioni per rinviarla fino al terzo”. Ecco che al Fatto Davigo spiega cosa farebbe per abbreviare i processi: visto che “si impugna sempre e comunque per rinviare l’esecuzione delle pene”, “occorrono filtri alle impugnazioni per eliminare quelle delatorie e pretestuose, fatte solo per perdere tempo”, “abolire il divieto di reformatio in peius in appello”, “consentire al giudice di valutare anche le impugnazioni meramente dilatorie per aumentare la pena”. Chi dei due è Travaglio, e chi Davigo? Chi Starsky e chi Hutch? L’unica cosa certa è il loro desiderio: manette per tutti.

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