giro di tavole

Giro d'Italia 2020, Sagan è un dolce della tradizione

Giovanni Battistuzzi

Lo slovacco come i calcionetti resiste all'avanzata del nuovo. E' stato rivoluzione, ora si è trasformato in reazione all'avanzata del nuovo. E oggi ha dato dimostrazione che ha ancora da insegnare qualcosa a tutti

Peter Sagan ha in sé una complessa semplicità. Quella del far sembrare semplice il complesso. Quella di certi dolci che da sempre rendono festa le feste. E come certi dolci che sembrano dover scomparire perché nuove mode si affacciano golose su scaffali di supermercati o nei banconi delle pasticcerie, rimangono immutati sulle tavole perché certi sapori nessuno li vuole davvero abbandonare, così Sagan non ha la minima intenzione di lasciare le vetrine del ciclismo a una generazione di corridori che ambisce a spazzare via ciò che è stato per imporre ciò che sarà.

 

In Abruzzo i calcionetti rappresentano la resistenza della tradizione dolciaria all’avanzata del nuovo. Va così da almeno un secolo, hanno superato mode e invenzioni, se ne sono fregati di tutti, pure di D’Annunzio e della sua ghenga. Quando il pasticcere pescarese Luigi D’Amico s’era inventato il parrozzo, che lo stesso Vate nominò così, il poeta si disse sicuro che questa nuova invenzione dolciaria avrebbe presto soppiantato quei “dolci che dolci non sono” con i quali la sua gente “si ostinava a celebrar festività perché altro non conoscono”. I calcionetti sono sopravvissuti a tutto, escono ancora dall’olio bollente con la loro pasta fatta di farina e vino bianco e il loro ripieno di castagne (o ceci), mosto e mandorle tritate (c’è chi mette anche la cannella e il cacao e chi rinuncia al mosto). Furono rivoluzione, dolce natalizio che mise da parte il pan dolce con l’uva secca, ora sono reazione a tutto ciò che avanza.

 

Peter Sagan non è poi diverso. In questi anni ha ribaltato il ciclismo, ora cerca di non essere ribaltato da chi il ciclismo lo vuole ribaltare. Quest’anno ha provato a resistere, ha visto che in volata sa ancora dire la sua, ma non più al modo di sempre, che poi era quello che preferiva, quello vincente. E allora ha dato libero spazio all’inventiva, ha scelto l’azzardo, la fuga, l’ignoto in una tappa complicata e di difficile lettura, la decima tappa del Giro d’Italia, la Lanciano-Tortoreto lido. Sagan non è solito leggere le tappe, al massimo le interpreta, le rende sue. Ha prima portato via la fuga, l’ha poi alimentata, ha rischiato di perderla prima di conquistarla. L’ha fatto in salita, sullo strappo che porta a Tortoreto paese, poco meno di due chilometri che partono cattivi, si fanno dolci e cattivi ritornano. Lì si è liberato di Ben Swift, l’ultimo a restare con lui degli avanguarsisti (gli altri erano Filippo Ganna, Davide Villella, Dario Cataldo, Simon Clarke, Jhonatan Restrepo), ha resistito al ritorno di Pello Bilbao che era uscito dal gruppo in cerca di fortuna, ha proseguito solo tra scrosci di pioggia e pallidi raggi di sole. C’è riuscito nessuno a riprenderlo. Sagan si è presentato da solo sul rettifilo d’arrivo con la faccia e i modi da chi sa che nulla è accaduto se non il compiersi della normalità.

 

Sagan nella decima tappa del Giro ha dimostrato di essere un dolce della tradizione. Magari c’è qualcosa di più dolce, ma alla fine nessuno sa resistergli. 

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