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EuPorn-Il lato sexy dell'Europa

L'europeissimo Zelensky e il sogno di tornare in 28

Paola Peduzzi e Micol Flammini

Il presidente ucraino dice: siamo uguali, noi e voi europei, facciamo una famiglia. Il cammino dal 2014 a oggi, la guerra e i cauti a Bruxelles

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Volodymyr Zelensky era diventato presidente di un’Ucraina  incastonata tra la Russia e l’Unione europea, un paese in cui la vita trascorreva identica a quella di Varsavia o di Budapest o di Parigi. Un’Ucraina che sapeva di avere una guerra che ribolliva nella sua parte orientale, diventata una dolorosa normalità, ma che non impediva che la nazione continuasse il suo  slancio verso il futuro. In Zelensky il paese  aveva visto molta freschezza, una faccia  conosciuta dalla televisione che non veniva dalla politica e che quindi forse sapeva lottare contro la corruzione meglio degli altri. Era stato votato con l’illusione ingenua e pazza che quel professore diventato presidente in una serie tv intitolata “Servitore del popolo” si potesse rivelare altrettanto bravo, altrettanto onesto, altrettanto giusto anche nella realtà. Gli ucraini sono dei sognatori e quando il presidente Zelensky dimostrava di amare molto il suo status e poco il suo lavoro, c’erano rimasti molto male: i cittadini protestavano, i giornalisti lo attaccavano, gli oppositori chiedevano le dimissioni. Poi l’Ucraina è stata attaccata dalla Russia, Kyiv si è svegliata sotto le bombe e da allora non dorme più. Non dorme Kharkiv, non dorme Odessa, non dorme Mariupol’, non dorme più nessuno. E in questa veglia tragica e inebriante il popolo ucraino s’è unito al suo presidente, alle sue occhiaie più marcate, agli annunci vitali che lancia ai leader europei per dire: noi siamo qui, resistiamo e questa resistenza è la cosa più europea che abbiate mai visto.

 

La guerra ha trasformato Zelensky in un reale servitore del popolo e rischia molto a rimanere a Kyiv perché sa che i russi cercano proprio lui: il presidente ebreo che secondo Putin avrebbe nazificato l’Ucraina. Ma Zelensky rifiuta i passaggi offerti dagli americani che vogliono metterlo in salvo, rimane, veglia, chiama i leader internazionali e ha firmato la richiesta per diventare parte dell’Unione europea. Dopo questi giorni di resistenza impensabile, di nottate trascorse a fabbricare molotov e ad attendere i russi, crede di esserselo guadagnato sul campo, l’ingresso tra i paesi membri: è il ventottesimo stato, che si è ritrovato a vivere una vita improvvisamente novecentesca, attaccato senza alcuna ragione. C’è chi chiama Zelensky “Capitan Ukraine”, chi lo chiama eroe, chi lo apostrofa come il primo vero presidente della nazione, chi semplicemente dice: per fortuna abbiamo un attore come presidente, sa che ora il ruolo che deve interpretare è quello del capo popolo, del condottiero. Un politico forse se ne sarebbe già andato, lui non soltanto è lì con sua moglie Olena e i suoi figli, ma dalla nazione assediata prova a tracciare il cammino futuro della sua nazione senza un presente con la certezza che sarà un futuro europeo. 

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Cosa c’è di europeo in Ucraina. L’olio di semi di girasole è il simbolo dei rapporti commerciali tra l’Unione europea e l’Ucraina: grazie all’accordo di libero scambio, i dazi sull’olio sono stati tolti e le esportazioni verso l’Europa sono più che raddoppiate, e nel 2020 valevano 1,2 miliardi di euro.  Il Deep and Comprehensive Free Trade Area (Dcfta), che fa parte dell’Association Agreement, fu la causa scatenante della crisi del 2013, che portò alle proteste di Piazza Indipendenza e alla fuga dell’allora presidente Viktor Yanukovych (sì, quello che è ricomparso in queste ore a Minsk, la capitale bielorussa). L’accordo fu poi firmato nel 2014, ma è entrato pienamente in vigore soltanto nel settembre del 2017, dopo la ratifica di tutti gli stati europei. Secondo i dati ufficiali dell’Ue, il mercato europeo è il più grande partner di riferimento dell’Ucraina, vale il 40 per cento dei suoi scambi commerciali per un valore di 43,3 miliardi di euro (nel 2019). Le esportazioni dei principali prodotti ucraini – ferro, acciaio, prodotti minerari, agricoli e chimici, e macchinari – sono quasi raddoppiate dal 2016 al 2019 e le aziende ucraine che hanno scambi con l’Ue sono passate da circa 11.700 a 14.500; anche le esportazioni europee verso l’Ucraina, soprattutto macchinari, prodotti chimici, mezzi di trasporto e prodotti manifatturieri, sono raddoppiate. Per avere questo accesso al mercato europeo, l’Ucraina ha dovuto rivedere i propri standard, soprattutto nel comparto agricolo, e ha progressivamente attuato un’armonizzazione del suo sistema economico in materia di competizione, smantellando pezzo a pezzo quel che restava del modello sovietico. Per stimolare queste riforme, l’Ue ha dato un sostegno diretto a centomila aziende ucraine medio-piccole e diecimila aziende agricole e ha partecipato alla modernizzazione dell’infrastruttura tecnologica. L’europeizzazione dell’Ucraina è passata anche attraverso gli undicimila e cinquecento studenti che dal 2015 sono venuti in Europa a fare l’Erasmus.
 

L’olio di semi di girasole è il simbolo dei rapporti commerciali tra l’Unione europea e l’Ucraina

 

I cauti. Dentro le istituzioni dell’Ue e tra alcuni vecchi stati membri non c’è grande entusiasmo di fronte alla richiesta di concedere all’Ucraina lo status di paese candidato. Quando ha detto che gli ucraini “appartengono” all’Ue e che “li vogliamo dentro”, Ursula von der Leyen ha avuto cura di aggiungere un dettaglio: “Nel corso del tempo”.  Anche la risoluzione approvata martedì dal Parlamento europeo nasconde una trappola. I deputati hanno invitato “le istituzioni dell’Ue ad adoperarsi per concedere all’Ucraina lo status di paese candidato all’adesione all’Ue, in linea con l’articolo 49 del trattato sull’Ue e sulla base del merito”. Cosa significa? “Non si chiede quindi di accelerare il processo, né si dice che l’Ucraina debba entrare nell’Ue subito”, ci ha spiegato una fonte del Parlamento europeo. “Anzi, si sottolinea che la procedura prevista dai Trattati deve essere rispettata”. Gli ambasciatori dei ventisette stati membri hanno avuto una discussione dopo che Zelensky ha inviato la lettera di richiesta di adesione. Per il momento si è scelto di seguire la strada ordinaria: parere della Commissione e decisione dei governi. Ma, secondo diverse fonti dell’Ue che abbiamo consultato, alla fine sarà il Consiglio europeo (cioè i capi di stato e di governo) a prendere la decisione politica, dando indicazioni alle altre istituzioni.


Lo scetticismo. Le ragioni dello scetticismo sono giuridiche e politiche. Per diventare paese candidato l’Ucraina dovrebbe rispettare i criteri di Copenaghen su democrazia e diritti umani e introdurre una serie di riforme per allinearsi all’Ue. Le regole prevedono un lungo processo di valutazione da parte della Commissione. Il via libera allo status di paese candidato ha bisogno dell’unanimità degli stati membri. Solo allora si potrebbero aprire i negoziati di adesione, comunque destinati a durare anni, se non decenni. Sul piano politico, il più grande timore è che la concessione dello status di adesione sia considerata come una provocazione da Putin e che metta fine a qualsiasi speranza di raggiungere almeno un cessate il fuoco nelle prossime settimane. Ucraina, Georgia, Moldavia hanno tutte espresso la volontà di appartenere al campo occidentale, che sia l’Ue o la Nato. Ma l’Ue ha cercato in ogni modo di allontanare la prospettiva di una loro candidatura, inventandosi strumenti alternativi come la Partnership orientale. “Un gesto simbolico nei confronti di Zelensky ci costringerebbe a fare i conti con la potenziale candidatura di Georgia e Moldavia, amplificando ulteriormente lo scontro con Putin”, ci ha detto un diplomatico di uno dei paesi scettici.

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La fratellanza polacca. Chi invece sostiene con forza l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea è la Polonia.  Al confine tra Polonia e Ucraina ci sono cittadini polacchi che si presentano con un cartello. Sopra c’è scritto: Warszawa, Krakow, Poznan o Lublin. Tutte le città verso le quali sono pronti ad accompagnare chi fugge dalla guerra. I treni trasportano gratuitamente i cittadini ucraini.  Alcuni polacchi coraggiosi varcano il confine a bordo di piccoli furgoni e  consegnano armi e munizioni ai loro vicini assediati. Varsavia è attivissima, sostiene con ogni sforzo Kyiv e il suo ingresso nell’Unione europea. Ha anche convinto l’Ungheria ad allinearsi con i paesi membri su decisioni importanti come le sanzioni e adesso ha promesso che ospiterà tutti gli ucraini che vogliono passare. C’è una vena di opportunismo: manodopera qualificata per un paese con problemi demografici. Ma c’è anche la convinzione tutta polacca che la Russia va fermata, non smetterà mai di essere un pericolo. Oggi è Kyiv e domani potrebbe essere Varsavia: bisogna essere uniti per vincere.


Le ragioni dello scetticismo europeo sull’ingresso dell’Ucraina sono molte: politiche e giuridiche

 

L’esercito europeo. Qualche settimana prima dell’invasione russa, il capo di stato maggiore ucraino, il generale Valery Zaluzhny, disse che il suo esercito era pronto per “accogliere il nemico non con i fiori, ma con gli Stinger, i Javelin e le armi anticarro. Benvenuti all’inferno!”. Zaluzhny, 48 anni, padre di due figli e l’aria sorniona, è originario dell’oblast di Zhytomyr, che ieri è stata colpita con molta violenza: nel 2014, partecipò alle operazioni di difesa contro i russi nel Donbas, quelle che andarono molto male e che ci diedero l’impressione che gli ucraini non fossero proprio in grado né di attaccare né di difendersi. Quando l’Ucraina era parte dell’Urss, le truppe erano integrate e addestrate nell’armata sovietica. Zaluzhny fa parte della prima generazione di soldati cresciuti nella stagione in cui anche l’esercito ha preso le distanze dalla russificazione e ha cercato di orientarsi verso il modello occidentale. E’ Zaluzhny, grande sostenitore dell’adesione dell’Ucraina alla Nato, che ha supervisionato la modernizzazione dell’esercito, rendendolo interoperativo con l’Alleanza atlantica e imparando a utilizzare armi ed equipaggiamenti forniti dai paesi occidentali. L’esercito ucraino ora, grazie anche ai 2,7 miliardi di dollari in assistenza militare da parte degli Stati Uniti (ricorderete che Donald Trump sospese questi fondi pretendendo da Zelensky un’indagine contro il figlio di Joe Biden: Trump finì all’impeachment per questo), è molto diverso da quello del 2014, anche se di base è molto meno tecnologico e meno equipaggiato degli eserciti della Nato. In più, quattrocentomila soldati, tra cui 13 mila soldatesse, in questi anni hanno fatto cicli di turni sul fronte del Donbas e questo ha permesso di aggiornare il proprio addestramento, ma ha anche avuto un effetto enorme: gli uomini della grande maggioranza delle famiglie ucraine sono da anni sul fronte. Ma Zaluzhny, come lo stesso Zelensky e tutto il governo, ha deciso di non lamentarsi e di compensare le fragilità mostrando, con video e messaggi, quanto è forte la resistenza ucraina, militare e civile.


Lo spin di Kyiv. L’Ucraina è stata molto brava anche nella guerra d’informazione di cui la Russia è maestra. Prima dell’invasione è stata aiutata dalla strategia di anticipazione degli Stati Uniti, che avevano deciso di rendere pubblica la propria intelligence sui movimenti russi: Mosca smentiva, diceva che era la solita russofobia, e poi ha invaso. Ma questa operazione di debunking in diretta ha tolto a Putin il suo argomento principale: quello di essere lui la vittima dell’offensiva occidentale. Quando la guerra è cominciata, l’Ucraina si è messa a comunicare con grande efficacia i propri atti di eroismo, la fierezza di dire a un comandante russo “go fuck yourself” e i molti episodi di resistenza; c’è anche l’altra parte, quella della tragedia che viene compensata dai video in cui si vedono russi catturati o mezzi russi colpiti, o anche la brutalità degli attacchi russi.

 

Tutto questo ha permesso una grande umanizzazione del conflitto: quando Zelensky dice al Parlamento europeo: noi ucraini siamo come voi, sintetizza il fatto che se gli ucraini sono sotto attacco lo siamo anche noi, che loro vogliono quello che vogliamo noi, la libertà di vivere in pace. E così si trova ovunque la versione europeizzata dell’Ucraina, EUkraine, così come si trovano i gattini: ce n’è uno, chiamato “la pantera di Kharkiv”, che ha aiutato i soldati a individuare quattro cecchini russi. Poi ci sono i girasoli ovunque, ma il nostro preferito è un cartello stradale con le indicazioni cambiate: servono a confondere i russi, e tutte le strade portano a Bruxelles.


(ha collaborato David Carretta)

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