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La bomba di Kim

Il regime nordcoreano testa il suo sistema di attacco nucleare. La sfida al Sud, ma non solo

Giulia Pompili

Kim Jong Un testa i suoi missili nucleari e Seul cerca di minimizzare: da due anni il governo conservatore guidato da Yoon Suk-yeol ha cambiato radicalmente la postura con Pyongyang

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Seul, dalla nostra inviata. L’altro ieri sugli smartphone di mezza Seul sono arrivate almeno un paio di notifiche nel giro di un’ora. Il suono degli “avvisi di sicurezza” è inconfondibile, allarmante.  Ma sono soprattutto gli stranieri, qui, a pensare subito alla Corea del nord: gli avvisi dell’altro ieri riguardavano in realtà il signor Park, di 72 anni, scomparso di casa e affetto da demenza. Negli stessi minuti, però, a neanche duecento chilometri più a nord, il dittatore Kim Jong Un stava supervisionando la prima esercitazione militare di una controffensiva nucleare, come confermato ieri dal quotidiano di stato Rodong Sinmun. Una salva di quattro missili balistici tattici a corto raggio è stata lanciata dalla regione orientale della capitale Pyongyang verso il Mar del Giappone, nella prima esercitazione di comando e controllo di una controffensiva nucleare mai sperimentata dal regime nordcoreano. Il regime di Kim sta da qualche mese testando la sua catena di comando, e ora l’ha fatto anche per quel che riguarda un attacco nucleare – che secondo la dottrina nordcoreana non deve essere necessariamente una risposta a una aggressione subita, e le testate tattiche nucleari possono essere usate anche in via preventiva, se la leadership dovesse sentire il pericolo di un’azione di forza contro la Corea del nord.  L’addestramento è stato anche un “chiaro segnale di avvertimento” alle forze ostili, cioè Corea del sud, America e Giappone, che stanno rafforzando la loro cooperazione su sicurezza e deterrenza. 

 

Seul, Tokyo e Washington stanno effettuando per questa ragione sempre più frequenti esercitazioni militari congiunte.  Le autorità locali sudcoreane usano le notifiche dirette sugli smartphone per questioni di sicurezza pubblica (e le persone scomparse sono tra queste), ma per il momento a Seul ripetono che non c’è nessun motivo di allarmare la popolazione con l’ennesima azione bellicosa nordcoreana. E’ una scelta politica precisa, di minimizzazione degli effetti di una guerra mai davvero finita sulla vita quotidiana delle persone – in un paese in cui i bagni nei centri commerciali spesso si trovano dal secondo piano in poi per costringere le persone a passare davanti a diverse vetrine prima di raggiungerli. Ma c’è anche un problema di allarmismo e scarsa distribuzione delle aree considerate sicure: negli anni i sudcoreani hanno smesso di considerare credibile l’ipotesi di un attacco nordcoreano, e quando a maggio dello scorso anno la Corea del nord tentò il lancio del suo primo satellite – con un razzo lanciatore del tutto simile ai missili balistici intercontinentali nordcoreani – il governo di Seul mandò un allarme sugli smartphone di tutti i dieci milioni di abitanti della capitale: “Procedete verso una zona sicura”, senza ulteriori dettagli. Per molte persone, significa camminare anche due o tre chilometri prima di raggiungere gli shelter designati, e cioè le stazioni della metropolitana. Pochi minuti dopo era arrivato un altro messaggio che diceva: scusate, ci siamo sbagliati, l’allarme era solo per chi vive sull’isola di Yeonpyeong. E’ quella che si trova sulla linea del fronte, a 12 chilometri dalla costa nordcoreana, e dove dal bombardamento del 2010 la paura si sente eccome. 

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Da due anni il governo conservatore guidato da Yoon Suk-yeol in Corea del sud ha cambiato radicalmente la postura con Pyongyang rispetto al precedente, guidato dal democratico Moon Jae-in. L’ha fatto per una specie di tradizione politica – i conservatori sono sempre più vicini all’America e meno dialoganti con il Nord e la Cina – ma anche perché nel frattempo il mondo è cambiato. In tutti i discorsi pubblici gli esponenti della diplomazia di Yoon parlano di Ucraina, del simbolo che è diventata. Ed è la Corea del nord, in questo momento, a fornire alla Russia gran parte delle munizioni che le servono per la sua guerra contro Kyiv. E bisogna arrivare fino al confine con la Zona demilitarizzata sul trentottesimo parallelo, quello che divide i due paesi (che dall’inizio dell’anno sono ufficialmente due anche per Pyongyang, dopo che Kim ha dichiarato “impossibile” la riunificazione, definito la Corea del sud “ostile” e distrutto il monumento dell’Unificazione di Pyongyang) per capire quanto, dopo la pandemia, anche la situazione fra i due paesi si sia congelata in uno stallo pericoloso: l’area che fino a qualche anno fa Seul usava come una zona turistica è oggi per gran parte chiusa al pubblico, tranne alcune attrazioni particolarmente lontane dal confine. Un poliziotto militare dell’area ha confermato ieri al Foglio che la Corea del nord di recente ha iniziato a smantellare perfino i lampioni per l’illuminazione delle uniche due strade che univano il Nord con il Sud, rimaste inutilizzate l’una dal 2019 e l’altra dal 2020. 

 

Le esercitazioni nordcoreane con missili balistici a corto raggio di lunedì sono state condannate da gran parte della comunità occidentale, Unione europea compresa, ma le armi politiche per esercitare pressioni su Pyongyang ormai sono pochissime. Al Consiglio di sicurezza dell’Onu Kim ha la protezione sistematica di Russia e Cina – neanche due settimane fa Zhao Leji, il terzo più alto funzionario cinese, è stato in missione in Corea del nord, la prima da cinque anni, per rafforzare l’amicizia fra i due paesi. L’asse che va da Mosca a Pechino, passando per Teheran e Pyongyang, è sempre più aggressivo e coordinato, nonostante le rassicurazioni.

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