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La guerra dentro

In Iran la repressione in strada e nelle redazioni è ripartita sabato in sincrono con i missili

Cecilia Sala  

Il manifesto dei dissidenti e pacifisti iraniani che sanno una cosa: la guerra fa anche da scudo alla repressione interna. “Trovati un lavoro vero!”, gridano le donne agli agenti che provano a fermarle

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“Questa atmosfera di guerra, oltre a essere una copertura per un sistema assolutamente incapace di rispondere alle crisi interne, fa da scudo per una nuova repressione dei movimenti di protesta qui in Iran”, c’è scritto in un manifesto in persiano pubblicato martedì sera da trecentocinquanta dissidenti iraniani. Le ‘campagne di strada’, con cui la Repubblica islamica spedisce pattuglie a fermare le donne che non indossano il velo e a caricarle a forza su pulmini bianchi, sono ricominciate la sera di sabato in concomitanza con il lancio di trecento droni e missili verso Israele. Le autorità sanno che mentre l’opinione pubblica mondiale, la stampa internazionale e gli stessi iraniani sono distratti oppure spaventati dall’ipotesi di un’escalation, gli arresti e le esecuzioni delle condanne a morte si notano di meno. 

Con un intervento pubblico che è molto raro per i servizi segreti iraniani, l’intelligence dei pasdaran ha rilasciato uno strano comunicato per promuovere la delazione in cui invita tutti i cittadini a segnalare subito “qualsiasi caso di sostegno al falso regime sionista” da parte di vicini di casa o conoscenti che postano online. Anche i quotidiani economici che, mestamente e con spirito costruttivo, ricordano agli ayatollah e ai pasdaran che la crisi nel paese è già seria quindi ulteriori fibrillazioni – anche non sfociassero mai in una guerra aperta – non convengono, non vengono tollerati. Domenica, il giorno dopo l’attacco contro Israele che a Teheran chiamano “l’operazione Vera promessa”, il giornale Jahan-e Sanat ha scritto che la moneta locale si era indebolita ancora (si era già indebolita molto nelle giornate precedenti segnate dalle minacce di una rappresaglia). Poche ore dopo l’apertura delle edicole, la magistratura islamica iraniana ha accusato il giornalista autore del pezzo e il giornale di “disturbo della sicurezza psicologica della società e dell’economia del paese”. Dello stesso crimine di “disturbo della sicurezza psicologica” dell’opinione pubblica sono accusati l’editorialista Abbas Abdi e il quotidiano riformista per cui scrive, Etemaad, per come hanno coperto le notizie sul pericolo di una guerra più grande nella regione. 

Il 4 aprile, tre giorni dopo il raid israeliano che ha abbattuto il consolato iraniano a Damasco, mentre a Teheran già si pianificava la vendetta e si facevano i calcoli sulla possibile escalation, la Guida suprema, Ali Khamenei, lanciava “l’operazione Luce” – che è un linguaggio militare in questo caso applicato a una battaglia che non si combatte contro un nemico esterno ma contro le ragazze disarmate che non si vestono come la Guida vorrebbe. Con il suo discorso Khamenei prometteva che tutte le donne iraniane sarebbero tornate “ad aderire al codice di abbigliamento deciso dalla Repubblica islamica” indipendentemente dalle loro convinzioni personali e dal loro volere. Negli ultimi giorni i social network iraniani si sono riempiti di nuovo di resoconti di insulti, spintoni, uso di armi stordenti e molestie sessuali che fanno parte da anni delle interazioni tra le donne e la polizia morale.

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Nonostante i molti tentativi della autorità di riportare l’Iran a prima della protesta cominciata quasi due anni fa con il funerale della ventiduenne curda Mahsa Jina Amini, a Teheran sono decine di migliaia le donne che non indossano più il velo e sono migliaia anche nelle altre città del paese. A Kermanshah, una città capoluogo da quasi un milione di abitanti nell’ovest del paese, una pattuglia della polizia morale ha provato a portarsi via una ragazza perché poco vestita, ma una folla l’ha protetta e ha fermato la pattuglia. Ieri, nel quartiere Tajrish di Teheran, un’altra ragazza senza velo ha picchiato e morso gli agenti che volevano fermarla gridando: “Adesso basta, io devo andare a lavorare. Trovatevelo pure voi un lavoro vero”.  

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Il manifesto dei trecentocinquanta dissidenti iraniani che vogliono la pace anche per evitare che la guerra faccia da scudo alla repressione si chiude così: “In questo medio oriente pieno di fuoco e sangue, noi, gli attivisti e i militanti iraniani, ci schieriamo contro qualsiasi azione bellicosa della Repubblica islamica che alzerebbe ancora di più le fiamme degli incendi nella regione e che diventerebbe poi un ulteriore pretesto per opprimere le persone dentro i confini dell’Iran. E condanniamo qualsiasi aggressione contro il territorio del nostro paese, e insistiamo sulla necessità di un cessate il fuoco nella guerra di Gaza”. 

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