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a tbilisi

In Georgia volano botte (e bandiere dell’Ue) contro la “legge russa”

Micol Flammini

Il governo copia i metodi del Cremlino per rimanere al potere, ma i cittadini protestano: hanno già Mosca in casa, non vogliono anche le sue leggi

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A Tbilisi ci si dà appuntamento davanti al Parlamento, si portano le bandiere della Georgia, dell’Unione europea e anche dell’Ucraina, si brandiscono come se fossero scudi o lance, soprattutto si grida contro il palazzo in cui da giorni va avanti la discussione per approvare la “legge russa”. Il dibattito in Parlamento è frenetico, quasi passionale. Si discute e volano botte. Per strada, con puntualità e vigore, proseguono le  liti che si trasformano in scontri tra i manifestanti e la polizia. Non c’è un’età per protestare, i volti che cantano e gridano davanti al Parlamento georgiano sono di ogni età. Sogno georgiano è il partito che ha la maggioranza nel paese e da un anno vuole far approvare una legge che i cittadini hanno preso a chiamare “legge russa”. Secondo la proposta, le organizzazioni che ricevono più del 20 per cento dei loro finanziamenti dall’estero dovranno registrarsi come agenti di influenza straniera e aderire a delle regole amministrative diverse. L’ispirazione viene da Mosca, dove una legge simile viene utilizzata per reprimere il dissenso interno, per sfinire l’opposizione e limitarla anche dal punto di vista economico. Al portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, l’idea che la Georgia possa avere presto una legislazione simile è sembrato  scontato: “Nessuno stato sovrano vuole interferenze da parte di altri  nella politica interna”, ha detto l’uomo che rilascia le dichiarazioni di Vladimir Putin. 


Ci vuole più di una lettura per vedere approvata la legge in Parlamento, ma la tensione aumenta, per le strade si protesta, ci sono arresti,  ci si picchia. Aleko Elisashvili, capo di un partito che porta il suo nome, lunedì si è alzato dal suo scranno mentre il leader della maggioranza, Mamuka Mdinaradze, parlava dei benefici della legge sugli agenti stranieri. Elisashvili gli si è avvicinato e l’ha colpito, prima un pugno, poi un calcio, infine è uscito dal Parlamento e furioso ha detto che non c’è più tempo per essere educati e ha reagito così per la Georgia, perché l’obiettivo del governo è far cadere il paese nelle mani della Russia: “O siamo georgiani o siamo schiavi”. La pazienza è finita e il paese è spaccato tra un partito che vuole rivincere le elezioni a ottobre, vuole accreditarsi come la forza che ha aperto i negoziati con l’Unione europea, ma nello stesso tempo ha mantenuto delle buone relazioni con la Russia, senza imporre sanzioni dopo l’invasione dell’Ucraina, e anzi incrementando gli scambi commerciali. Sogno georgiano è un partito che ha interessi in Russia, ma non si definisce pro russo e anzi rivendica di aver portato avanti i suoi rapporti con l’Unione europea con grandi successi. Ora però è il momento dell’involuzione e chiunque voglia mantenere il potere indipendentemente dalla volontà dei suoi cittadini, chiunque voglia superare il brivido delle urne e avere una vittoria certa sa bene dove attingere suggerimenti: qualcuno a Mosca c’è già riuscito con successo ed è stato copiato più e più volte. Nel mutare la cassetta degli attrezzi per smontare la democrazia, Sogno georgiano  di recente ha voluto  anche un’altra legge  per vietare la “promozione di relazioni intime o famigliari omosessuali”, e l’ispirazione è sempre la stessa, viene da Mosca. Quanto più Tbilisi si sente vicina alla Russia, tanto più protesta e grida: Europa sì, Mosca no, Putin Khuilo (Putin testa di cazzo). Le sue strade sono piene di segni di sostegno all’Ucraina e una parte dei russi fuggiti dal loro paese si è rifugiata proprio in Georgia. L’arrivo per i russi in fuga è stato un test, l’integrazione d’obbligo, per i georgiani è essenziale capire se chi è arrivato nel loro paese sta con Putin ma ha paura di  andare a fare la guerra o se è contro il regime. Elisashvili è stato volontario della legione internazionale che combatte in Ucraina, poi è tornato in Georgia e ha iniziato a fare politica, in un ambiente in cui l’opposizione, nonostante il grande capitale di protesta, non è stata in grado di attirare lo scontento contro Sogno georgiano. 


E’ complicato allontanare la Russia quando ce l’hai in casa. I georgiani hanno avuto paura e rabbia quando in Ucraina hanno visto in grande quello che loro hanno subìto in piccolo nel 2008 e sanno di avere due regioni del loro territorio sotto occupazione: l’Abkhazia affacciata sul Mar Nero e l’Ossezia del sud che confina con la Russia, dove ci sono le basi militari di Mosca e i cui confini si espandono con costanza. Ucraina e Georgia si guardano e non possono smettere di vedersi legate. Si anticipano e si prevedono, c’è un nesso tra le loro aspirazioni, una storia di specchi tra i loro politici, a cominciare da Mikheil Saakashvili, il presidente che aveva combattuto l’aggressione russa, poi era andato a Kyiv per costruire la nuova Ucraina democratica, aveva litigato con l’ex presidente Petro Poroshenko, aveva un ottimo rapporto con Volodymyr Zelensky ma aveva deciso di tornare in Georgia, dove è stato arrestato e ancora oggi si trova in carcere con addosso i segni di una detenzione pericolosa: nel suo sangue ci sono tracce di un tentativo di avvelenamento, è dimagrito e i suoi legali sono convinti che qualcuno abbia tentato di ucciderlo. Alla sua salvezza è legato il futuro nell’Unione della Georgia, che per essere europea farebbe di tutto. Si sente già europea, ha bisogno soltanto che la politica e la Russia non siano più un ostacolo. 

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