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L'editoriale del direttore

L’attacco dell’Iran ha contribuito a smontare due balle su Israele: apartheid e isolamento 

Claudio Cerasa

A difendere lo stato ebraico c'erano diversi paesi arabi e l'unica vittima dei droni iraniani è una bambina della comunità beduina. Abbattuti i missili ma anche i falsi miti

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Nella notte drammatica in cui l’Iran ha scelto tragicamente di rompere uno storico tabù del regime degli ayatollah, fare la guerra a Israele ogni giorno che Dio manda in terra evitando però di sporcarsi le mani in prima persona e lasciando fare il lavoro ai propri alleati, sono stati abbattuti non solo tutti i droni iraniani diretti verso lo stato ebraico ma sono stati abbattuti anche alcuni importanti falsi miti che riguardano lo status attuale di Israele.

Un primo falso mito è quello che riguarda un’accusa ricorrente che viene spesso lanciata contro Israele e in particolare dalle diramazioni di Amnesty International: Israele è uno stato razzista che porta avanti una vergognosa forma di apartheid contro i palestinesi e l’azione a Gaza è motivata prima di ogni altra cosa da un odio profondo che Israele cova nei confronti degli islamici, dei musulmani, degli arabi. Il caso ha voluto che nella notte tra sabato e domenica mattina l’unica ferita grave colpita dai resti di un drone iraniano sia una bambina di sette anni, Amina al Hasoni, ora in terapia intensiva, appartenente a una comunità beduina discendente di pastori arabi musulmani che vive nel deserto del Negev. I beduini sono una piccola parte della comunità araba presente in Israele (11 mila, molti di loro vivono purtroppo in villaggi non riconosciuti, e in pochi hanno un accesso semplice a rifugi anti aerei o anti missili) che è composta da circa 2,1 milioni di persone, che rappresenta in totale il 21 per cento della popolazione dello Stato ebraico (di questi, 1,6 milioni sono palestinesi), che si muove con disinvoltura all’interno dell’esercito israeliano (gli arabi arruolati erano 489 nel 2019, nel 2020 sono arrivati a 606), che gode di pieni diritti politici (possono ambire a qualsiasi carica), che cresce di anno in anno nelle università (negli ultimi sette anni, gli studenti arabi nelle università israeliane sono cresciuti del 78,5 per cento, la rettrice dell’Università di Haifa appena nominata è un’araba, di nome Mona Maroun) e che è stata travolta come la povera Amina al Hasoni dalle conseguenze dell’odio anti israeliano (dal 7 ottobre, sono stati ventuno i beduini uccisi da Hamas, tra gli ostaggi sequestrati dai terroristi risultano esserci sei beduini).

 

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Il secondo falso mito abbattuto come un drone nella notte tra sabato e domenica è che Israele sia un paese drammaticamente solo, senza alleati, isolato nel mondo. Il dato interessante emerso nelle ore in cui Israele ha organizzato la sua caccia al drone iraniano è che tra i principali alleati dello stato ebraico si sono materializzati diversi importanti paesi arabi, che hanno formato una coalizione tra eserciti che mai si era vista nella storia: Israele, Stati Uniti, Giordania, Arabia Saudita, Regno Unito e Francia (molti droni e missili hanno dovuto viaggiare sullo spazio aereo giordano e saudita per raggiungere Israele). Ieri la famiglia reale saudita ha reso pubblico il suo coinvolgimento, cosa che il giorno prima aveva già fatto la famiglia reale della Giordania, e questo dato si aggiunge a un altro dato interessante: dal 7 ottobre a oggi, da quando cioè Hamas ha attaccato Israele provocando la sua azione a Gaza, i rapporti tra Israele e alcuni paesi arabi si sono raffreddati.

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Due dei paesi che hanno firmato gli accordi di Abramo nel 2020, Emirati Arabi Uniti e Bahrein, hanno interrotto diversi accordi commerciali, ma nessuno dei governi arabi che avevano stretto legami con Israele prima del 7 ottobre ha mostrato un’intenzione concreta nel voler abbandonare del tutto quei legami. C’entra, naturalmente, la rivalità tra potenze sunnite (come l’Arabia Saudita) e potenze sciite (come l’Iran). Ma c’entra, in fondo, una consapevolezza inconfessabile che i principali paesi arabi condividono con Israele. Avere un medio oriente con due popoli e due stati, tra Israele e Gaza, è una priorità. Ma avere un medio oriente in cui gli Stati Uniti si impegnano a proteggere chi viene attaccato dall’Iran e in cui le coalizioni anti Iran non si oppongono apertamente al tentativo di estirpare Hamas da Gaza è l’unico modo possibile per coltivare una pace duratura e per avere una regione all’interno della quale musulmani ed ebrei possano convivere e collaborare come è successo anche sabato notte, quando Israele, anche con Giordania e Arabia Saudita, ha difeso dai droni iraniani la moschea  di al Aqsa a Gerusalemme, un luogo particolarmente sacro per i musulmani. Amnesty International, forse, avrà capito di chi stiamo parlando.

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