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riot parigini

Come sono cambiate le proteste nelle banlieue dei “ragazzini” francesi

Jean-Pierre Darnis

Rispetto a vent'anni fa, il cuore delle mobilitazioni che prendono piede nelle periferie francesi è fatto da adolescenti, che tendono a considerare le forze dell'ordine come delle bande rivali da estromettere. Il ruolo dei social e della povertà educativa

I recenti soprusi in Francia offrono varie chiavi di lettura. Un primo riferimento sono le violenze del 2005, quando la morte accidentale di due ragazzi di Clichy-sous-Bois che scappavano dalla polizia aveva suscitato un’ondata di violenze. Dietro questo parallelismo vengono spesso articolate delle riflessioni marxiane, che insistono sullo stato di povertà, di precarietà e di esclusione, e che convergono con considerazioni nate dopo la pubblicazione di Les Territoires perdus de la République, scritto da Georges Bensoussan nel 2002, che insiste sull’arretramento culturale e civico di alcune zone. 

 

Nelle periferie delle città francesi esistono delle zone di degrado dove si concentra una popolazione relativamente povera, con delle situazioni di emarginazione sociale e dove la spesa pubblica pro capite è inferiore alle medie nazionali. Ne consegue una serie di difficoltà per l’erogazione dei servizi pubblici, educazione in testa ma anche criticità negli alloggi. Queste zone registrano anche un’alta percentuale di popolazione di origine straniera. I “quartieri” sono poi a volte delle zone di “non diritto”, con un’estesa economia del traffico di droga, oltre a una crescita di pratiche religiose musulmane vista come rottura con il patto repubblicano. Un panorama che costituisce lo sfondo delle violenze attuali, mentre molti rimpiangono le inefficienze e i ritardi di quelle politiche che da decenni dovrebbero attenuare questi mali. Ma la situazione odierna offre anche degli elementi nuovi.

 

Il cuore della mobilitazione è fatto da adolescenti che prendono di mira la polizia francese: nei loro territori di riferimento i gruppi di giovani tendono a considerare le forze dell’ordine come delle bande rivali che vanno estromesse. C’è poi un’importante componente digitale: dal gioco Grand theft auto (Gta), che è diventato ormai un modello di riferimento comportamentale al punto di dettare alcune strategie operazionali di attacco – come quando alcuni manifestanti si impadroniscono di un tir per sfondare un supermercato – all’uso di piattaforme social come TikTok o Instagram per alimentare e partecipare ad attacchi e distruzioni presentati come delle competizioni fra vari gruppi che “giocano” fra di loro, utilizzando anche gruppi Whatsapp o Telegram per mobilitare le reti.

La convocazione da parte del governo francese dei rappresentanti delle principali piattaforme social ma anche il richiamo del ministro della Giustizia per mancato esercizio della responsabilità genitoriale danno l’idea della natura complessa e giovanile del movimento attuale. Tutto questo con un uso intenso di mortai per fuochi d’artificio che vengono adoperati per attaccare i  bersagli, incendiando infrastrutture come scuole e trasporti, anche simboli dell’investimento collettivo, come ulteriore traduzione del rifiuto di una qualsiasi normalizzazione. Molti negozi sono stati saccheggiati: ciò dimostra quanto i ragazzi “vogliano tutto”.  L’insieme di questi fattori preoccupanti deve comunque essere relativizzato da alcuni elementi. Prima di tutto la permanenza di queste zone disagiate nelle periferie delle città non significa che la situazione sia statica. Queste zone fungono anzi da raccoglitori della fascia bassa dell’integrazione della società francese: appena una persona ha successo, parte da questi quartieri, il che contribuisce anche all’apparente stagnazione di questi territori, dove rimangono solo coloro che “non ce l’hanno fatta”, oppure arrivano nuovi entranti.

Molti incriminano la lentezza della politica urbana, ovvero il fatto che il crescente bisogno di alloggi non riesca a essere colmato anche per i vincoli alle costruzioni. Ciò significa che la Francia si trova a dover gestire una demografia in espansione, che corrisponde anche all’alto numero di nascite del decennio 2005-2015.  Le questioni nei quartieri sono percepite come questioni economico-sociali attorno ai “ragazzi”. Il tentativo di dare una lettura razzista e xenofoba alla questione messo in atto dall’estrema destra è ampiamente fallito, e questo è un segnale concreto che smentisce le visioni di uno “scontro di civiltà”.

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