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editoriali

Tra i repubblicani americani l'unità di misura è sempre Trump

Redazione

Si candida l’ex vicepresidente Mike Pence per la presidenza degli Stati Uniti nel 2024. Una fragilità strutturale

Mike Pence ha formalizzato la sua candidatura alla presidenza degli Stati Uniti nel 2024: l’ex vicepresidente in ticket con Donald Trump si è guadagnato la medaglia di antitrumpiano certificando la vittoria di Joe Biden in quel gennaio eversivo dell’assalto al Campidoglio, nel 2021, in cui la folla gridava: impiccate Pence. La compagine dei repubblicani con ambizioni presidenziali si sta formando, forse galvanizzata anche da queste ultime settimane in cui, per il negoziato sul tetto del debito, il lato pragmatico del partito ha avuto la meglio sugli estremi.

Pence è considerato un candidato credibile, viene spesso appaiato a Nikki Haley, l’ex ambasciatrice all’Onu dell’Amministrazione Trump che presenta in questo momento il profilo più fresco e meno compromesso con il trumpismo. Entrambi sono però in un’altra categoria (più bassa) rispetto allo stesso Trump, che è ancora popolarissimo, e rispetto a Ron DeSantis, che inanella una delusione via l’altra, non è minimamente vicino a insidiare Trump, ma è considerato, con eccessiva superficialità, l’unico in grado di non tradire del tutto l’elettorato trumpiano. In settimana, potrebbero formalizzare la loro candidatura anche Chris Christie, che è stato un trumpiano di ferro e ora è un antitrumpiano altrettanto di ferro, e il semisconosciuto governatore del Nord Dakota Doug Burgum, che  ha fatto una fortuna con la sua compagnia di software, cosa che gli permette di essere economicamente autosufficiente. 

La falla in questi posizionamenti è evidente: l’unità di misura è ancora e sempre Trump e questo handicap sembra per ora politicamente irrisolvibile. Molti sussurrano che solo la giustizia (i processi all’ex presidente) può sistemare ogni cosa ed evitare una riedizione del 2020: un fallimento della politica anche questo, a ben vedere, con in più tante e dolorose chiacchiere sull’età avanzata di Biden che, al di là della morbosità, confermano la strutturale fragilità del sistema americano che non sa rinnovare la sua classe dirigente.