Recep Tayyip Erdogan con Hakan Fidan (LaPresse)

Dopo la vittoria

Per capire “il secolo turco” di Erdogan bisogna osservare due ministri

Mariano Giustino

Nel gabinetto del presidente riconfermato cambiano molti ruoli chiave. Hakan Fidan a capo dei servizi segreti e il ministro dell’economia Mehmet Simsek sono le icone del nuovo corso: figure tecniche prive di ambizioni politiche

Ankara. La porta del palazzo presidenziale di Bestepe ad Ankara si è spalancata per la terza volta consecutiva con la parola d’ordine “Destur!”, che significa “fate strada, mettetevi sull’attenti e abbassate il viso”; ordine utilizzato nel cerimoniale militare ottomano per annunciare l’arrivo del sultano. Nel giorno del suo insediamento davanti a ventuno capi di stato e di governo e a otto organizzazioni internazionali, il presidente Erdogan ha varato il suo nuovo governo. Nel centesimo anniversario della proclamazione della Repubblica fondata da Atatürk, il presidente ha voluto iniziare così quello che lui chiama il “nuovo secolo della Turchia”, evocando il “Muhtesem Yüzyil”, il “Secolo Magnifico”, che segnò l’apogeo dell’impero sotto il regno di Solimano.

 

Due nomi chiave caratterizzano il nuovo governo turco, un Gabinetto cambiato quasi totalmente. Quello di Hakan Fidan, capo dei servizi segreti, che assume la guida del ministero degli Esteri e quello di Mehmet Simsek, ex ministro del Tesoro e delle Finanze che torna a rivestire il ruolo di plenipotenziario delle politiche economiche. All’ex zar dell'economia turca è assegnato il compito più difficile: riportare il paese alla politica economica ortodossa e immettere nuova fiducia nei mercati per tirare fuori l'economia dalle sabbie mobili in cui Erdogan l'ha fatta precipitare con la sua stravagante dottrina dei bassi tassi di interesse. Nell’incontro avuto con il suo predecessore, Nureddin Nebati, Simsek è stato chiaro: “L’attuale politica economica non è ‘razionale’, noi la riporteremo su un terreno di razionalità”. Il neo ministro ha confermato il ritorno  ai princìpi di base delle economie di mercato. Per queste posizioni divergenti con quelle del leader turco, Simsek era già stato destituito nel 2018. Per imporre la sua politica monetaria restrittiva avrà bisogno di un governatore della Banca centrale e di funzionari dei vari istituti finanziari in linea con la sua politica, altrimenti sarà destinato ancora una volta al fallimento. Con Mehmet Simsek, dunque il presidente tornerebbe alle politiche ortodosse? C’è molto scetticismo circa il fatto che ciò possa realmente accadere. Potrebbe trattarsi di fumo negli occhi per gli investitori e i mercati e dare ossigeno alla lira che rischia un drammatico tracollo e per poi tornare a una politica monetaria espansiva in prossimità  delle elezioni municipali del marzo del 2024.

 

Invece la nomina del capo dell’intelligence, Hakan Fidan, alla guida del ministero degli Esteri turco non è una sorpresa. Dei 17 ministri sono stati tutti sostituiti, tranne il ministro della Salute e quello del Turismo. Questo governo è formato da personalità tecniche, di area, fortemente legate al leader turco e senza alcuna ambizione politica e capacità di assumere una leadership. Erdogan ha voluto un esecutivo completamente sotto il suo controllo, escludendo quei pochi rimasti in grado di insidiare il suo potere. Hakan Fidan è l’architetto della nuova intelligence turca (Mit), pupillo del presidente che gli aveva affidato nel 2010, 13 anni fa, il compito di riorganizzarla. Fidan, che Erdogan descrive come il suo “cubo segreto”,  lo ha ricompensato trasformando il Mit in un’istituzione che ha giocato e gioca un ruolo attivo in tutti i processi regionali, dalla Libia alla Siria, dall’Ucraina al Caucaso. L’operato del nuovo ministro dovrà essere seguito con estrema attenzione dalla comunità internazionale, in particolare dal blocco occidentale. Fidan rappresenta infatti la continuità in politica estera e un rafforzamento della sua “autonomia strategica” nei vari dossier regionali. Aveva condotto varie trattative a porte chiuse con attori statuali e non. Nella primavera del 2014, aveva trattato con l’Isis per la liberazione di 49 cittadini turchi, presi in ostaggio nel consolato di Mosul nel  nord dell’Iraq. Ha condotto dal 2009 al 2012 trattative a porte chiuse con i guerriglieri del Pkk per tentare l’avvio di un processo di pace per la risoluzione della questione curda. Continuerà a occuparsi della sicurezza del paese contro la minaccia terroristica e a guidare le numerosissime operazioni in corso, con l’impiego di droni, in nord Iraq e in Siria contro le basi del Partito dei lavoratori del Kurdistan.

 

Fidan è l’ombra del presidente nelle sue visite all’estero e nei suoi incontri con Putin. Ha mediato nel contesto della guerra in Ucraina, in Siria per la normalizzazione delle relazioni tra Ankara e Damasco e sta mediando nella pacificazione dei rapporti con il presidente egiziano al Sisi. Il neo ministro è stato poco presente nelle relazioni con l’Europa, questo sta a indicare quali saranno le priorità del suo mandato: sostenere una politica di “equilibrio” tra Mosca e Kyiv, riconciliarsi con Siria, Egitto e altri paesi arabi e continuare a praticare una politica assertiva nel Mediterraneo e nel Caucaso.

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