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l'ossessione del cremlino

Polka di paura. Storia di due nazioni avversarie da sempre

Micol Flammini

Mosca minaccia la Polonia, ma Varsavia è l’avamposto dell’occidente, è forte e sa come reagire

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Non vi è nulla di più ingannevole che l’apparente somiglianza tra la lingua russa e quella polacca. Ne traspaiono due tipi umani diversi, è come l’incontro tra un siciliano e un cinese. 
Czeslaw Milosz, “La mia Europa”


Il corso della Vistola accarezza quasi tutte le città polacche più grandi. Non è soltanto un fiume, la Vistola è un racconto. E’ rimasta a presidio della storia della Polonia, ha diviso i nemici e gli alleati, ha inondato, soccorso, accompagnato. E’ placida la Vistola, con il suo ghiaccio invernale e il suo scorrere estivo, a Cracovia passa sotto il Castello del Wawel, un tempo residenza dei re di Polonia, oggi  cimitero turistico degli ex regnanti. A Varsavia divide la città e la protegge. Forse senza la Vistola l’Unione sovietica sarebbe stata ancora più grande, i bolscevichi avevano fame di territori, ma l’errore, che al Cremlino continuano a ripetere ancora oggi, fu credere che la libertà per certi popoli vale poco più di un vezzo. Finita la Prima guerra mondiale la Polonia aveva da poco recuperato il suo territorio, si era ricostituita, aveva raggruppato quello che le avevano rosicchiato negli ultimi centocinquant’anni ed era pronta a tutto non soltanto per tenersela stretta la sua nazione, ma anche per espanderla. Da est però Mosca era determinata a farsi sempre più grande e quella nazione rinata era un ostacolo alla sua grandezza, perché la considerava in parte sua e perché vedeva nella sua esistenza  l’inizio di un’ambizione competitiva e molto fastidiosa. Le voglie bolsceviche si infransero però lungo la placida Vistola, durante una controffensiva fatta di cuore e strategia che il generale polacco Józef Haller ribattezzò “un miracolo”. Era il 1920 e i sovietici erano pronti a tutto, erano convinti che sarebbero arrivati ovunque ma a fermarli furono proprio i polacchi. La notte prima della controffensiva che avvenne in agosto, il generale Haller chiese di pregare a lungo, pregò lui stesso e pregarono i soldati, unirono al coraggio la fede, che nella lotta polacca contro le minacce di Mosca è stata sempre un elemento fondamentale, e realizzarono “il miracolo della Vistola”. 

 

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Lungo la Vistola i polacchi fermarono i bolscevichi, dissero che si era trattato di un miracolo. I sovietici tornarono vent’anni dopo


 

Fu lungo lo stesso fiume che venticinque anni dopo, i sovietici si misero in attesa. Mentre i nazisti come gesto di odio nei confronti di Varsavia, la città ribelle che mai si era arresa, distruggevano con le loro ultime munizioni quel che rimaneva della capitale polacca, bruciavano, uccidevano e mutilavano, i sovietici che erano a un passo e sarebbero potuti intervenire, lasciarono che i nazisti si sfogassero, abbandonarono i polacchi che provavano a liberarsi e attesero, al di là della Vistola, fino a quando di Varsavia non videro altro che comparire il suo fantasma. Liberarono una città di morti, pensando non soltanto di aver fatto la cosa giusta, di essere dei liberatori,  ma supponendo anche che la punizione nazista nei confronti della città che non concepiva la resa aveva un suo senso. Appollaiati sulla Vistola, i sovietici avevano aspettato che la Polonia rimanesse senza forze. Soltanto poi attraversarono il fiume, troppo stanco e straziato per compiere un miracolo. 

 

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La Russia per i polacchi non è soltanto storia, è una minaccia costante, una paura legata all’idea di nazione, di sopravvivenza, alla stessa concezione  del futuro. Durante la Guerra fredda per tanti intellettuali la collocazione di Varsavia nell’orbita di Mosca non era soltanto un torto, ma era anche sbagliata, era la condanna ad appartenere a un mondo di cui non si erano mai sentiti parte: quello fuori dall’occidente. Inghiottiti dal Cremlino per trent’anni, i polacchi, dagli anni Novanta, si sono messi a lavoro per non ricadere mai più nella storia scritta da Mosca. 

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Se spesso il racconto dei rapporti tra Polonia e Russia sembra andare avanti tra paure e gesti eroici, con le inquietudini polacche al centro di un’inimicizia durata secoli, poco spazio viene invece dedicato alle ossessioni di Mosca. Il rapporto tra Polonia e Russia non è soltanto la storia di una paura eterna, della consapevolezza di Varsavia di trovarsi nelle vicinanze di un paese sempre smanioso di espandersi, ma anche quella di una fissazione tutta russa per un popolo indomabile e tenace, che fu anche protagonista di periodi e sconfitte che a Mosca ricordano come un incubo. I polacchi arrivarono fino alla capitale degli zar, era il 1610, ed era un’epoca di torbidi e paure anarchiche, periodo incontrollato in un paese che teme l’anarchia più della dittatura. Era l’epoca dei falsi figli di Ivan il terribile, gli impostori di nome Dmitri sposati con una nobile polacca, Marina Mniszech, tessitrice ambiziosa della fine del trono degli zar. Le ossessioni sono spesso antiche, si tramandano, proprio come le paure. Così il rapporto tra polacchi e russi è andato avanti attraverso i secoli e se in Russia ancora oggi i funzionari del Cremlino minacciano Varsavia è perché è rimasto il ricordo di quel popolo tenace, difficile da assoggettare e che per fermare Mosca ha sempre fatto di tutto. 

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I polacchi arrivarono fino a Mosca, nell’epoca in cui “i falsi Dmitri” pretendevano il trono di Ivan il Terribile


 

Quando i tedeschi e i russi decisero di spartirsi la Polonia, nel 1939, per i sovietici il pensiero non fu soltanto quello di togliere ai polacchi la libertà, ma di renderli incapaci di organizzare una resistenza. La decisione di massacrare la classe dirigente polacca rispondeva proprio a questo piano, non bastava occupare la nazione, che spartita tra nazisti e sovietici cessava di nuovo di esistere, ma andava privata della sua possibilità di organizzarsi e di rialzarsi. Il massacro di Katyn’, quando nel 1940 ventiduemila polacchi vennero uccisi dai sovietici, rispondeva a questa logica, alla paura di una possibile ribellione. Per questo l’ordine dell’eccidio arrivò da molto in alto, lo stesso Stalin ne era informato e l’esecuzione venne firmata dagli uomini più vicini al dittatore. Era un piano per sgretolare la società polacca, per renderla più docile, assoggettabile, senza una guida. Ma il massacro non fu sufficiente ad ammansire la Polonia divisa in due. 

 

Se l’invasione russa contro l’Ucraina è anche lo scontro iniziato da Vladimir Putin contro l’occidente, una battaglia ideologica, la Polonia è il posto in cui è più facile percepire la Russia come l’antioccidente. E nella caparbia lotta di Varsavia per rivendicare il suo essere altro rispetto a Mosca, negli anni si è tramutata in un baluardo, nell’avamposto della battaglia contro il Cremlino. Da antemurale della cristianità a difesa dell’occidente, il ruolo della Polonia nella storia ha sempre avuto a che fare con il suo essere frontiera, un pezzo di occidente affacciato a est, a “oriente dell’occidente”, come scriveva  Milan Kundera in “Un occidente prigioniero”.  

 

Dal 24 febbraio del 2022, data di inizio della guerra russa contro Kyiv, i funzionari di Mosca non hanno mai smesso di minacciare direttamente la Polonia. Nei salotti propagandistici in cui si amplificano e si ingigantiscono le idee del Cremlino, spesso esperti militari lanciano conti alla rovescia di un futuro attacco contro Varsavia. Filmati con missili per ora inesistenti raccontano che Varsavia con le tecnologie di Mosca può essere spazzata via in una manciata di secondi. Cartine geografiche che  indicano la distanza che un razzo percorrerebbe da Mosca a Varsavia riempiono spesso gli schermi e i discorsi. La Polonia, con il suo trovarsi vicina  all’Ucraina, con la sua decisione di continuare a spronare l’occidente, con la sua caparbietà a dirsi “avamposto dell’occidente”, è spesso raffigurata come la prossima. Il prossimo obiettivo, il prossimo bersaglio, la prossima vittima. Non è così semplice, Varsavia fa parte dell’Alleanza atlantica e se Mosca decidesse di colpire il suo territorio dichiarerebbe guerra alla Nato. Al Cremlino lo sanno bene e infatti Varsavia rimane il destinatario di minacce di ogni genere, il testimone vicinissimo di una guerra che cerca di tenere fuori dalla porta di casa. In Polonia la guerra si intravede, in un anno la nazione è cambiata molto, non soltanto per il suo rapporto con l’Europa, ma anche perché si è trasformata emotivamente e militarmente. E’ un paese in pace che sa che la guerra può arrivare anche per errore, come è accaduto  a metà novembre dello scorso anno, quando  un missile è davvero caduto sul suo territorio, nel villaggio di Przewodów, al confine con l’Ucraina, uccidendo due persone. Non era russo, ma un razzo ucraino lanciato per intercettarne uno di Mosca, in uno di quei giorni di attacchi massicci contro le infrastrutture ucraine. E’ stato un incidente, di quelli che accadono perché la guerra non è in casa ma è vicina, e se ci si accosta al confine, c’è un punto in cui pace e guerra sembrano confondersi: si fanno contigue. 

 


Per la  Polonia la Russia non è soltanto un avversario, ma è l’antioccidente. E’ lo scontro tra due modelli e due civiltà


 

Come scriveva il premio Nobel polacco Czeslaw Milosz non esistono forse due tipi umani così diversi, come il russo e il polacco, ma non esistono forse due nazioni che abbiano modellato la loro storia tanto come hanno fatto Varsavia e Mosca. Si conosce bene la fuga della prima dalla seconda, ma spesso si tralascia l’ossessione della seconda per la prima. Con l’attacco di Putin contro l’Ucraina è parso chiaro il fondamento ideologico della guerra russa, si è ricomposto il ritratto dei vent’anni abbondanti di putinismo che hanno visto una classe politica colma di risentimento insediarsi al Cremlino con la volontà di rimettere in discussione il mondo che si era costituito con la fine della Guerra fredda. La Polonia aveva osservato la nuova Mosca, aveva guardato con sospetto tanto a Vladimir Putin quanto al suo sostituto Dmitri Medvedev e non ha perso tempo. Una volta conquistato il suo posto tra le potenze occidentali, è rimasta a sorvegliare il confine, consapevole del fatto che non era più la placida Vistola a essere in pericolo, ma più a est, il Dnipro ucraino. La battaglia di Varsavia di oggi in difesa di Kyiv non è fatta di altruismo, è sicurezza, è attaccamento all’appartenenza a un mondo conquistato dopo secoli di guerre, calde e fredde. Per Mosca Varsavia è la prima spallata al Muro di Berlino, è la città ribelle, è la fede contro l’ateismo sovietico, è la placida Vistola che bloccò l’Armata rossa.  Sono un mondo contro il suo contrario. 

 


Nei salotti propagandistici russi le minacce a Varsavia sono continue, per l’ex presidente Dmitri Medvedev la Polonia sarà “spazzata via” 


 

La Polonia è una delle nazioni europee che più si sono rivoluzionate in questo anno di guerra. E’ l’avamposto della Nato, è il fulcro della diplomazia delle armi, è il ricettacolo delle minacce di Mosca. Uno degli ultimi a minacciare Varsavia è stato Medvedev, l’ex presidente, ex premier, ora vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, ha detto che in un confronto tra la Nato e la Russia la Polonia verrebbe spazzata via. Varsavia sarebbe in prima linea, con i missili di Kaliningrad puntati contro, ma sarebbe anche tra i paesi che più hanno investito in sicurezza. E’ un investimento che fa da una vita, che dura tutta una storia, e che per Mosca è un assillo. E’ una decisione che ha a che fare con la sopravvivenza, e la vittoria di una battaglia che per il Cremlino è di conquista, per la Polonia è stata a lungo di civiltà. 

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