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L'editoriale dell'elefantino

Una lezione dagli Stati Uniti: Trump può essere eletto anche se incriminato

Giuliano Ferrara

Come si dice Severino in America? Non si dice, perché la giustizia non sarà mai strumento legale per l’eliminazione di un avversario

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C’era una rubrica nella Settimana Enigmistica intitolata: “Lo sapevate che?”. E un’altra di significato analogo: “Strano ma vero”. Lo sapevate che Trump può correre per la Casa Bianca e essere eletto anche se incriminato, e si discute se nel caso potrebbe diventare presidente perfino stando in galera durante la campagna elettorale? Strano ma vero. E tipico per un altro elemento da tenere presente nel giudicare la giustizia americana e il suo rapporto con la politica e l’esercizio e i diritti civili di un politico. Del primo elemento si è già parlato qui qualche giorno fa. Con le questioni di garantismo all’italiana il caso Trump c’entra niente, e va ripetuto. Noi siamo il paese dello sputtanamento preventivo dell’imputato e della indiscutibilità-insindacabilità del libero convincimento del giudice, un paese spagnolesco. Il problema della giustizia americana non è invece mettere il bollo sulla presunzione di colpevolezza di un uomo pubblico, di un colletto bianco, in un’orgia di accuse e sbeffeggiamenti delle sue tecniche a difesa e nel presupposto che il magistrato è al di sopra della legge, un totem culturale dell’imparzialità apolitica che non puoi attaccare se non vuoi metterti contro il diritto vigente; all’opposto, il problema della giustizia americana e del sistema dei media che osservano e controllano è sempre stabilire quale sia l’attendibilità giuridica e la capacità di prevalere in un giusto processo degli elementi portati dal magistrato elettivo, dunque eminentemente e apertamente politico, dell’accusa.

 

E’ lui nella coscienza pubblica che deve smascherare un presunto innocente il quale gode di tutti i diritti, e nel 99 per cento dei casi, della libertà personale, sia sotto cauzione sia senza. Noi siamo il paese in cui si fanno i check mediatici e anche legali delle liste per scrutinare i buoni e cari candidati privi di impicci nella fedina penale; un partito, quello dei grillini, arrivò al 32 per cento con la piattaforma della esclusione di chiunque avesse a che fare con i meccanismi penali dalla capacità di essere eletto in Parlamento; siamo la patria della famosa legge Severino e della cacciata di Berlusconi dal Senato, una sconcezza che ancora adesso fa godere giulivi i giornalisti e i politici dell’armata Brancaleone da sempre alla caccia del Cavaliere nero, sebbene la notizia vera e storica, mai celebrata abbastanza, sia stato il rientro in Senato del leader eletto a furor di popolo come uno dei capi della maggioranza che ha preso in mano il paese. Sarà anche strano ma è vero: da loro la giustizia fa il suo corso legale, la politica ne prescinde largamente, l’opinione pubblica accetta la separazione delle due sfere, fino al paradosso rivelatore di cui stiamo parlando, fino al riverbero della separazione delle carriere e dei percorsi delle diverse magistrature nella più assoluta separazione della giustizia dalla politica. E questo vuol dire avere un forte sistema legale che non urta i diritti civili della persona, anzi li salvaguarda fino allo spasimo, e un forte sistema politico che ovviamente è decisivamente influenzato anche dalle vicende giudiziarie dei suoi protagonisti.  

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Ma in una formale e ferrigna distinzione che arriva appunto alla circostanza per cui il District Attorney che accusa Trump è sotto indagine pubblica molto più del suo accusato, di cui ciascuno può presumere quello che vuole ma che è innocente fino a che Alvin Bragg non abbia efficacemente provato il contrario davanti a un tribunale, sicché chi accusa è sotto il fuoco dello scrutinio, della critica, sotto esame. Se Trump dicesse che gli assegni a Michael Cohen per il suo hush money non hanno riferimento con la politica perché erano indirettamente destinati alla nipote di Mubarak, il pubblico americano si farebbe una risata e si volterebbe dall’altra parte e chiederebbe conto a Bragg della vera destinazione degli assegni, se la possa documentalmente provare o no. Punto. Questa è la differenza. Per questo il processo possibile a Trump, dopo l’incriminazione, è ovviamente un elemento dello scontro politico e d’immagine, ma non diventa lo strumento legale per l’eliminazione di un avversario e una bandiera per la presunzione di colpevolezza di un soggetto che può correre per la presidenza quale che sia il suo status processuale. Altro che Severino

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