(foto EPA)

la riflessione

Garantismo per Trump? No, grazie

Giuliano Ferrara

In Italia vige la finzione dell’imparzialità e il magistrato spesso presume di riscrivere la storia. In America la difesa ha poteri simili all’accusa e si applica un canone che tutti rispettano. Ecco lo show di Donald alla sbarra

Non si è tenuti a essere garantisti per Trump, e credo di sapere perché. Come chiunque sia incriminato negli Stati Uniti, l’ex presidente americano è stracarico di garanzie giuridiche. Il processo è per definizione e diritto costituzionale un giusto processo, non vige la finzione dell’imparzialità ma la regola del confronto duro tra accusa e difesa, e la difesa ha praticamente gli stessi poteri dell’accusa nel suo mestiere. Lì se l’accusa non è in grado di sostenere un processo, due sono le cose, o non lo imbastisce oppure il caso si chiude senza conseguenze, quando non si esibiscano prove documentali e testimoniali serie in ordine a reati personali seri (felony).

 

Dominique Strauss-Kahn era gravemente compromesso, come si sa, ma la sua accusatrice fece pasticci e si mostrò avida, dunque il caso penale fu chiuso dal predecessore di Alvin Bragg, Cyrus Vance, e restò solo un risarcimento in sede civile, senza che nessuno si scandalizzasse per le nipoti di Mubarak ossia per le bugie difensive dell’imputato poi prosciolto.

 

La giustizia inoltre non è ipocritamente automatica, non è affidata all’arbitrio professionale di una classe di funzionari scelti per concorso e sostanzialmente insindacabili, è giustizia politica alla radice, nel senso più alto che ha la politica in una democrazia liberale, il procuratore è eletto, i giudici sono nominati da organi politici, incombe sempre su tutto il ruolo della Corte suprema che è organo politico a vita nominato dal presidente in nome del suffragio universale che lo ha eletto. Il controllo dell’opinione pubblica è istituzionalizzato e solido, diretto e punitivo attraverso lo strumento del consenso. Il paradosso è che la giustizia apertamente politica del processo accusatorio si basa sull’assunto dell’indipendenza di chi procede e della sua rigorosa dipendenza dalla legge e dalle procedure, mentre la giustizia automatica e castale non subisce alcun vero controllo (una flebile commissione del Csm non vale il voto degli elettori), non è tecnicamente responsabile, dunque può degenerare facilmente e degenera in interferenza con la politica, in supplenza. C’è poi una differenza di cultura costituzionale e ideologica, da noi il magistrato presume di riscrivere la storia, da loro applica un canone che tutti rispettano. Per questo gli alti lai di Trump contro la caccia alle streghe suonano falsi e perdenti. 

 

Dal Wall Street Journal, indulgente con Trump ma senza faziosità, al New York Times, spietato in politica ma attento alle forme processuali, in molti hanno scritto che il caso penale contro di lui ha elementi evidenti di debolezza. Non è questione di astratto garantismo, l’innocenza fino a prova contraria dell’ex presidente non va faticosamente ricordata o pietosamente evocata dai benintenzionati del diritto, con risultati che nel procedimento all’italiana si conoscono bene, e si possono riassumere nell’idea che sei colpevole fino a prova contraria, una volta che capiti tra le grinfie di un magistrato; è la premessa di tutto il processo, è un dogma dell’opinione consolidata, praticamente non si giudica Trump come imputato, che è il nostro sport nazionale nei casi analoghi, si giudica solo la validità del procedimento che pretende di metterlo in stato d’accusa, di incriminarlo e di processarlo, l’attendibilità giuridica dell’impianto del procuratore, dell’accusatore di stato in nome del popolo (People vs Trump). Lo sport nazionalcostituzionale americano non è vedere se Trump mente a propria difesa, questa è la nostra specialità, ma valutare se chi lo accusa ha elementi sufficienti per dimostrare che ha commesso un reato, il resto è periferico, inessenziale. Ecco perché il canone sacro del garantismo, nella interpretazione italiana ed europea continentale, in questo caso non funziona se non in modo sghembo, per analogie che non sono probanti né ficcanti.

 

Ricordiamo un giorno caldissimo d’estate, un’aula solitaria della Corte di cassazione, il ventilatore che gira e gira, e un consesso di giudici, poi divisi da testimonianze contrapposte e imbarazzanti sull’origine della loro imminente decisione, che irroga una pena definitiva per evasione fiscale a Berlusconi, il principale o uno dei principali contribuenti dell’erario, un capo azienda che personalmente non aveva responsabilità diretta nei diversi dossier fiscali. Intorno a quel ventilatore non c’era un’opinione pubblica informata, una battaglia esplicita e chiara su dati processuali incontrovertibili, come avviene nel caso Trump, il tutto era affidato all’alea di un cosiddetto libero convincimento del giudice, di cui poi si seppe, non solo per la sua accanita collaborazione con il giornale di Marco Travaglio, che nutriva pregiudizi politici aperti verso l’imputato. Lo scontro, vago e distaccato sia dal fatto che dal diritto, era tra gli amici ed estimatori del Cav. e i suoi detrattori, presunzione di innocenza per gli uni, certezza di colpevolezza per gli altri. Non sempre le cose vanno così, specie in America dove il mezzogiorno di fuoco nello scontro all’O.K. Corral è scandito da legge, garanzie e attenzione generale all’osservanza dell’una e delle altre, con un ruolo chiarificatore e non mistificatore di tutti i media, amici e nemici confusi tra loro. Ecco perché non siamo in dovere di sentirci garantisti all’italiana nel caso Trump. 

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.