editoriali

Lo sciopero della fame del regista iraniano Panahi contro il regime della violenza e della povertà

Redazione

Le proteste nel paese degli ayatollah non si sono fermate, anche se torture ed esecuzioni hanno imposto la paura. Si sono spenti invece i riflettori internazionali e si sono arenate le iniziative diplomatiche occidentali contro i pasdaran

[Aggiornamento delle 18,00] È stato scarcerato su cauzione, dopo sette mesi di prigione nel carcere di Evin, il regista iraniano Jafar Panahi, che 48 ore prima aveva avviato uno sciopero della fame e della sete. Panahi era in carcere per scontare una condanna a sei anni di reclusione per "propaganda contro il sistema". La moglie del cineasta Tahereh Saeidi ha annunciato al critico cinematografico Mansour Jahani, al telefono, che grazie agli sforzi degli avvocati, Panahi è stato rilasciato.


 

Il regista iraniano Jafar Panahi, rinchiuso nella prigione-orrore di Evin, ha iniziato lo sciopero della fame e della sete, “resterò in questo stato fino a quando forse il mio corpo senza vita sarà liberato da questa prigione”. Panahi era stato arrestato nel luglio dello scorso anno per aver organizzato “azioni contro il regime”, era rimasto inizialmente ai domiciliari e poi, andando a Evin per verificare la salute di due suoi colleghi, era stato messo a sua volta in prigione, e da allora non è più uscito. Di lì a poco sarebbero cominciate le proteste contro l’uccisione di Mahsa Amini, mentre era nelle mani della polizia, che hanno portato a cambiamenti storici – il velo per le donne è ancora obbligatorio ma le punizioni a chi non lo indossa sono nelle grandi città sempre più rare – e alla repressione del regime: i resoconti da Evin in particolare sono un elenco di oscenità, dalle botte agli stupri, ma le torture iniziano anche prima, nei comandi di polizia.

 

Le proteste non si sono fermate nelle aree in cui sono state più corpose e anche sedate con più violenza, come in Baluchistan, mentre a Teheran continuano picchetti e atti quotidiani di disobbedienza civile. Le esecuzioni di giovani iraniani hanno avuto l’effetto desiderato dal regime: imporre la paura, scoraggiare le proteste.

 

Da quando i riflettori internazionali si sono spostati dall’Iran, o meglio dal popolo iraniano, la repressione è andata avanti indisturbata, rafforzata da una situazione economica insostenibile (il rial ha perso il 40 per cento del suo valore, si cambiano 450 mila rial per un dollaro, l’inflazione è al 40 per cento, in linea peraltro rispetto agli ultimi tre anni) che ha spezzato l’alleanza tra i manifestanti e i lavoratori e negozianti. Le iniziative diplomatiche occidentali contro i pasdaran si sono arenate; durante un’ispezione a sorpresa il 21 gennaio scorso, l’Aiea ha scoperto che nel sito nucleare di Fordo sono stati connessi due macchinari che arricchiscono l’uranio fino al 60 per cento “in un modo sostanzialmente diverso rispetto alle modalità dichiarate” dalla Repubblica islamica.  

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