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Accuse e indagini

Chi c'è dietro l'attacco al Congresso brasiliano

Maurizio Stefanini

Il governo Lula accusa Bolsonaro di essere "politicamente responsabile" delle invasioni e dei saccheggi ai palazzi del potere. Ora ci si interroga su eventuali complicità, anche per capire chi ha pagato i pullman che hanno trasportato gli assaltatori

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Lula accusa Bolsonaro di aver istigato lui i “vandali fascisti” che per qualche ora sono entrati nei palazzi dei tre poteri, in una sorta di Capitol Hill carioca. Il ministro della Giustizia Flávio Dino, alla cui decisa reazione si deve se la sommossa è stata presto domata, dice a sua volta che Bolsonaro è “politicamente responsabile” dell’assalto. L’ex-presidente ha respinto ogni coinvolgimento. “Le manifestazioni pacifiche, secondo la legge, fanno parte della democrazia. I saccheggi e le invasioni di edifici pubblici come quelli di oggi, così come quelli praticati dalla sinistra nel 2013 e nel 2017, sono illegali”, ha twittato dalla Florida, dove si è recato il 30 dicembre. “Respingo le accuse, senza prove, attribuitemi dall'attuale capo dell'esecutivo del Brasile”. “Durante tutto il mio mandato sono sempre stato nel perimetro della Costituzione, rispettando e difendendo le leggi, la democrazia, la trasparenza e la nostra sacra libertà”.

 

Anche altri esponenti bolsonaristi hanno espresso condanne analoghe. “È inaccettabile che le manifestazioni siano finite fuori controllo”, ha detto ad esempio il deputato Ricardo Barros. Esponente di un partito di destra ora alleato con Bolsonaro, ma che in 27 anni di carriera politica è riuscito ad essere capogruppo della maggioranza alla Camera per la presidenza Cardoso, vicecapogruppo per Lula, ministro della Salute di Temer e capogruppo di Bolsonaro: esempio di un trasformismo galoppante che è poi una cifra dominante della politica brasiliana. Una cifra cui cerca appunto di rispondere la crescente radicalizzazione di molti elettori. 

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Nell’epoca dei social, è però un tipo di mobilitazione che vira sul piano complottista, più che ideologico. Il tipo di “popolo di Bolsonaro” cui corrispondono i 15.000 protagonisti dell’assalto ha iniziato appunto ad accamparsi ed a bloccare strade giusto dal 30 ottobre, contestando la vittoria di misura di Lula e attribuendola a brogli. A Brasilia, in particolare, si erano piazzati davanti al quartiere generale dell’esercito, quasi a voler rafforzare la richiesta di un intervento militare. E i soldati hanno bloccato la strada agli agenti della polizia militare inviati da Dino per liberare i palazzi del potere, quando con veicoli blindati hanno cercato di entrare nella zona dell’accampamento. Presumibilmente non è acquiescenza al golpismo, ma mera gelosia dei militari per i loro spazi riservati. Ma sicuramente ciò contribuisce ad accrescere l’inquietudine complessiva.  

  

Ovviamente, ci si interroga su eventuali complicità. Esponente del centrista Movimento Democratico Brasiliano, che starebbe anch’esso nella coalizione di Lula, il governatore del distretto federale di Brasilia Ibaneis Rocha si era messo subito in contatto col presidente del Senato Rodrigo Pacheco, assicurando il suo sforzo per domare la sommossa. Ma è stato sospeso per novanta giorni, e il distretto federale commissariato. Se non proprio di connivenza, è tacciato di incapacità. Peraltro Rocha aveva a sua volta subito destituito il segretario alla Sicurezza del distretto, Anderson Torres, già ultimo ministro della Giustizia di Bolsonaro. 

 

Dino sta inoltre disponendo indagini sull’organizzazione delle manifestazioni, per capire chi ha pagato i pullman che hanno trasportato i bolsonaristi. Proprio questo tipo di logistica induce a giudicare con scetticismo l’ipotesi di militanti che siano andati per conto proprio su mera convocazione dei social, anche se in effetti alla base del bolsonarismo duro possono corrispondere lobby in grado di fare sforzi finanziari: da quella dei camionisti a quella delle armi. L’idea che Bolsonaro se ne sia andato apposta in Florida per dirigere il tentativo di golpe a distanza standosene al sicuro è suggestiva, ma forse non pratica. Certamente, anche se a fine mandato ha fatto discorsi in cui ha chiesto ai suoi seguaci di evitare il terrorismo e ha ricordato che “la vita non finisce il primo gennaio”, la sua scelta di non partecipare alla cerimonia di passaggio dei poteri per consegnare la banda presidenziale al suo successore non ha contribuito a distendere un clima che aveva già iniziato ad arroventarsi.

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