il prossimo attacco

La tregua di Putin è rumorosa in Ucraina e contestata in Russia

Micol Flammini

Gli alleati di Kyiv reagiscono compatti e le minacce del Cremlino intimoriscono sempre meno. Il presidente russo pretende ancora di dettare le regole della guerra e le condizioni della pace, ma non ha capito in che direzione sta andando il mondo

L’idea di una tregua unilaterale per la celebrazione del Natale ortodosso non è piaciuta agli ucraini e non è piaciuta neppure ai falchissimi che svolazzano attorno al Cremlino, uomini che contestano la gestione del conflitto  e vorrebbero una strategia ancora più brutale, senza pause. Il cessate il fuoco ordinato da Putin ha avuto diverse interruzioni, anche da parte di Mosca. Kyrylo Tymoshenko, vicecapo dell’ufficio del presidente ucraino, ha scritto su Telegram che la città di Kramatorsk, nella regione di Donetsk, aveva subìto un attacco, mentre a Kurakhove, un ospedale e alcuni condomìni erano stati colpiti dai soldati russi. La Russia  ha risposto che ha dovuto difendersi dai continui attacchi di Kyiv, per nulla disposti a concedere ai soldati del Cremlino  trentasei ore di riposo dai combattimenti. Margarita Simonyan, direttrice dell’emittente finanziata dal Cremlino Rt, si è affrettata ad accusare gli ucraini per non aver voluto accettare la tregua e alla stessa stregua hanno reagito molti commentatori della televisione russa, pronti ad accusare gli ucraini non soltanto di violenza ma anche di bassa levatura morale. La reazione era stata prevista, ma gli ucraini sono sicuri che Mosca si stia preparando per una nuova ondata di aggressioni e d’accordo con gli americani hanno ritenuto di non potersi fidare della “tregua di Natale”. Se Kyiv e i suoi alleati riescono a prevedere spesso le mosse di Mosca non è soltanto per ragioni di intelligence, ma perché hanno imparato a conoscere il Cremlino e le sue reazioni. Chi non ha ancora imparato a conoscere il suo nemico è Vladimir Putin, che si ostina a non voler capire neppure in che direzione sta andando un  mondo in cui la Russia  è sempre più marginalizzata. 

La notizia dell’ordine di cessate il fuoco di Putin è arrivata quando la Germania e gli Stati Uniti si sono impegnati a fornire ulteriori aiuti militari a Kyiv, come i veicoli da combattimento per la fanteria Bradley e Marder. Il dibattito tedesco continua a impelagarsi nelle distinzioni tra armi pesanti e leggere, di attacco e difesa, ma il governo di Olaf Scholz ha le idee sempre più chiare e teme meno  gli umori di Mosca. Mentre Putin rimane convinto di poter dettare le regole della guerra e le condizioni della pace, gli alleati di Kyiv stanno dimostrando di essere  meno spaventati dalle sue minacce. Il concetto di cautela  è stato sostituito dall’urgenza di aiutare Kyiv a vincere la guerra. Si stanno dissipando anche le condizioni che gli alleati ponevano all’esercito ucraino e l’idea che bisogna arrivare a un compromesso che piaccia a Mosca rimane un pensiero sfumato pronunciato soltanto dal presidente francese, Emmanuel Macron, che pure ha appena deciso di rifornire l’Ucraina di nuovi carri armati. 

 

La minaccia delle armi nucleari che Putin utilizza all’occorrenza nella speranza di indebolire il sostegno occidentale nei confronti di Kyiv sembra fare sempre meno paura nelle capitali europee e a Washington, anche perché c’è la consapevolezza che pure gli alleati del Cremlino  ne condannerebbero l’utilizzo. Putin, con gli annunci di tregue, con le sue regole per  una pace possibile soltanto dopo  il riconoscimento delle zone occupate, con l’idea di una Russia instancabile che in realtà più che stanca appare stremata, non si arrende al fatto che la realtà tutt’attorno è molto diversa da come la racconta lui. Gli alleati di Kyiv sanno  che reagire con forza contro l’invasione di Putin è importante anche per mettere le cose in chiaro con l’altro rivale: la Cina di Xi Jinping. Più reagiscono con forza e si fanno vedere uniti, meno Pechino seguirà le orme di Mosca. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.