Crediti: Moritz Iatzka  

Così Nasim Eshqi dà voce in Europa alle iraniane per combattere il regime in Iran

Cristina Giudici

"Ci vorrà ancora del tempo, purtroppo altro sangue dovrà essere versato, ma la fine del regime religioso questa volta è vicina”. Combattere è come scalare una montagna, ci dice l’alpinista

Dopo che è tornata a terra, dopo l’ultima escursione sulle Alpi, ha deciso di non tornare più indietro, a Teheran, dove è nata e cresciuta. E di restare in Europa, protetta con discrezione dalla comunità degli alpinisti. Dopo che è tornata a terra, Nasim Eshqi, quarant’anni e una vita ad arrampicare, ha deciso di svelarsi, e di mettere a disposizione degli attivisti il suo profilo Instagram “per diventare la voce degli iraniani che vogliono il cambio del regime”, ci ha detto durante il nostro incontro nella piazza centrale di un comune italiano, a ridosso delle montagne, dove si trova ora. Per anni Nasim ha avuto una doppia vita. In montagna seguiva le sue leggi, quelle che l’hanno resa libera, senza costrizioni né hijab da indossare. In città invece era obbligata a rispettare quelle della Repubblica islamica per sopravvivere. Sin da ragazzina, quando si allenava di nascosto dalla famiglia nella pratica delle arti marziali: “Mi sono rifiutata di partecipare a una competizione internazionale di kickboxing per non indossare il velo. Non volevo essere usata dal regime”. E così, 17 anni fa, ha trovato la sua strada. Su una parete, appesa a una roccia. 

 

Ha cominciato a fare free climbing, a scalare le montagne del suo paese e all’estero: in India, in Oman, in Turchia, in Armenia, negli Emirati Arabi, in Georgia e poi sulle Alpi. Fino a oggi ha aperto più di cento nuove vie in alta quota, anche nelle zone più remote dell’Iran. “Sono diventata una pioniera. Ho avuto una vita difficile, ho versato troppe lacrime, ho convissuto con un groppo nella gola, in uno stato di tensione permanente”, dice. “Poi ho detto basta. Non voglio più stare zitta, ma essere la voce delle donne iraniane. Ci vorrà ancora del tempo, purtroppo altro sangue dovrà essere versato, ma la fine del regime religioso questa volta è vicina”. Quando ha deciso di fermarsi in Europa, di venire in Italia, perché era troppo conosciuta per tornare indietro, era già scoppiata la rivolta in nome di Masha Amini. Il suo compagno, Sina Heidari, anche lui alpinista, è tornato in Iran a prendere tutti i documenti. Vivevano insieme a Teheran “dove rischiavamo di essere accusati di voler fare la guerra a Dio”, dice Nasim, che ha le unghie dipinte di rosa. Orgogliosa della sua femminilità che è potente quanto la forza che ha nelle gambe e nelle braccia. La traiettoria esistenziale e sportiva di Nasim  Eshqi è stata raccontata due anni fa nel documentario “Climbing Iran” girato dalla regista Francesca Borghetti.

 

Crediti: Saman Indaki 
 

Nel documentario la regista – che è poi diventata amica e sorella di Nasim – la presenta così: “La prima volta che ho visto Nasim era su un giornale. Era appesa a una parete di roccia, aveva i capelli liberi al vento e lo sguardo dritto alla cima. Veniva descritta come l’unica donna capace di aprire nuove vie sulle montagne dell’Iran”. Nel documentario si raccontano le sfide che è riuscita a superare, da sola, per fare free climbing, e dare al suo paese la prima via dedicata alle donne grazie all’aiuto di scalatori esperti che le hanno riconosciuto forza e talento. E come è diventata un’allenatrice che ha salvato la vita a molte donne iraniane grazie allo sport.

 

“Quando ho iniziato ad arrampicare, c’erano solo cinque donne che praticavano free climbing”,  racconta. “Allora la polizia non veniva a controllare alle pendici delle montagne e tutti eravamo liberi di essere noi stessi. Uomini, donne e bambini: eravamo tutti uguali. Poi ho cominciato ad aiutare altre donne a emanciparsi ma molte, davanti alle difficoltà, si sono tirate indietro. La montagna è una metafora della vita, non ci si può tirare indietro dicendo che non è possibile andare avanti. Niente è impossibile. Se trovi un ostacolo, devi imparare a superarlo”, dice. “Se un sentiero si chiude, ne apri un altro. La montagna ti permette di superare limiti, debolezze, esplorare te stessa, capire chi sei”. Nasim è stata fermata più volte dalla polizia morale. “Non sono mai stata condannata alla prigione, ma mi hanno tenuto in una cella per due, tre giorni, anche in isolamento. Mi hanno insultata, accusata di essere una puttana solo perché sono una donna. La polizia morale ha inviato a me e a Sina molteplici segnalazioni, intimandoci di presentarci. Avevano scattato delle fotografie in cui non portavo il velo o lo indossavo in modo scorretto. Sina ha dovuto persino seguire un corso religioso in cui gli hanno spiegato come gestirmi”, racconta.

 

Crediti: Moritz Attenberger  
      

Una volta presa la decisione di restare altrove, non si può più tornare indietro: “Ora in Iran rischierei la vita e sarei inutile. Qui posso fare molto di più. Posso raccontare cosa accade nel mio paese, condividere immagini e parole della ribellione, denunciare la brutalità della repressione. Fino all’omicidio di Masha Amini, cercavo di vivere nell’ombra, ma è arrivato un momento in cui non riuscivo più a far conciliare l’immagine di me stessa, un’atleta apprezzata all’estero, con quella di una schiava delle leggi della Repubblica islamica in Iran. Non volevo andare via, volevo continuare a mostrare alle donne più giovani che è possibile inseguire e realizzare i propri sogni, ma una volta che mi sono esposta con il documentario è diventato difficile restare nel mio paese. E ora che mi sono completamente svelata, voglio continuare a fare l’alpinista. Esplorare il pianeta. Contribuire all’empowerment delle donne”.

 

Nasim ascolta musica tecno, legge George Orwell, Nietzsche, Schopenhauer e Dostoevskij.  Ora vive ai piedi di una montagna italiana con Sina, conosciuto quattro anni fa durante una scalata. “Ci siamo capiti grazie allo stesso amore per la montagna e per la libertà. Era coraggioso come me, avevamo le stesse idee, volevamo esplorare il mondo”. Lui sorride, lascia che sia lei a parlare di sé stessa, di sua sorella con cui condivide la passione per le arrampicate. Di sua madre che è un’insegnante in pensione. Quando ci stiamo salutando, Sina Heidari, da poco tornato dall’Iran, ci tiene a dirci che di notte le persone salgono sui tetti per continuare a urlare slogan contro il regime e fare la rivoluzione per il popolo iraniano, ma in nome delle donne. 

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