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The Kin's message

Carlo in tv batte ogni record (e Meghan e Harry scompaiono dallo schermo)

Michele Masneri

Il discorso natalizio del Re, una tradizione che compie 90 anni. Dire (quasi) tutto in dieci minuti.

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Insomma per questa volta l’ha sfangata, Re Carlo. Il suo discorso di Natale, grande “prima” istituzional-televisiva in cui tutti lo aspettavano al varco, non solo non ha fatto fiasco ma ha battuto ogni record.

 

Forse appunto per coglierlo al varco, magari per assistere a uno dei suoi già leggendari sbrocchi, come quando è alle prese con penna e calamaio, per la prima volta in trent’anni il messaggio di un re britannico a Natale è stato visto da più di 10 milioni di spettatori.  Teletrasmesso in contemporanea da Bbc, Itv, Sky, mandato in onda il pomeriggio di Natale ma registrato il 13 dicembre a Windsor, non lontano dalla cara salma della real Mammà, il messaggio quest’anno dà un timido saggio del nuovo corso carlista. Carlo, pur da Capo della chiesa anglicana, nel messaggio dedicato soprattutto ai più sfortunati, a chi non riesce ad arrivare alla fine del mese, e di contrasto a infermieri, medici, e soprattutto volontari che leniscono codeste sofferenze, ha ricordato il ruolo delle “nostre chiese, sinagoghe, moschee, templi e  gurdwara”, cioè i luoghi di culto della religione sikh. Del resto la Gran Bretagna che Carlo eredita è quella in cui – dati alla mano di un provvidenziale censimento realizzato nel 2021 e rilasciato proprio in questi giorni – i cristiani per la prima volta non sono più maggioranza. 

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Chissà quante volte l’avrà provato, il discorso, Carlo, che a volte sembra parlare a braccio e spesso invece si capisce che guarda il gobbo; anche perché divenendo Re dovrà sfruttare al massimo questi momenti per esprimere il suo pensiero, non potendo più tempestare parlamento e governo delle sue missive contenenti il principesco punto di vista su medicine alternative, ecologia, architettura moderna e antica, appunti che i parlamentari affranti si vedevano recapitare in buste con lo stemma pennuto del prince of Wales e fogli scritti rigorosamente a mano (soprannominati i “black spiders” per la scrittura incomprensibile e ragnesca). Carlo continua a vivere il suo paradosso, essere il primo dei Windsor ad avere così tanto da dire, così tanto da esprimere, e non poterlo fare proprio nel secolo dell’espressionismo dei sentimenti (in un universo parallelo, se Carlo fosse una donna, magari trans o nera, comunque giovane, sarebbe un fantastico testimonial di cause umanitarie o animaliste; è fissato da tempo con temi che ha anticipato prima di tutti: l’ambiente, l’ecologia, i borghi. Purtroppo è un maschio anziano bianco che si inferocisce se un valletto non gli sposta il calamaio a tempo debito).

 

“Il discorso del Re” è anche il titolo del bel film del 2010 che narra di quando suo nonno, Giorgio VI, sovrano involontario, dovette attrezzarsi ai messaggi alla nazione, ma è anche è un medium a cui i reali si sono adattati dal 1932, quando suo padre Giorgio V lesse il primo, con “script” di Rudyard Kipling,  e che il popolo era tenuto ad ascoltare in piedi. Quello di Carlo ha ampi contributi audio e video (ma era un’innovazione già varata dalla regina Elisabetta) con inserti che vedono William e Kate e pure la sorella Anna all’opera e naturalmente la nuova regina consorte  alle prese con opere di bene (e fiori). Tra i medici, infermieri, volontari, il tutto inframezzato da un coro di voci bianche. Non figuravano, nei reali Rvm, i due transfughi Harry e Meghan che saranno a godersela in California coi proventi del documentario strappalacrime Netflix e del libro in uscita di Harry (il Time di Londra ha ferocemente ironizzato che proprio Netflix abbia offerto 10 milioni di dollari alla coppia per registrare un loro messaggio natalizio alternativo, “messaggio natalizio che sottolinei come il Natale sia tempo di celebrazioni; ma screziato di tristezza”).

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