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furia e sanzioni

La cautela europea sull'Iran, dove continuano le impiccagioni dei manifestanti

Tatiana Boutourline

Majid Reza Rahnavard, 23 anni, sottoposto a un processo-farsa e giustiziato davanti ai bassiji. La reazione dell’Ue inizia a inasprirsi, con Borrell che annuncia "sanzioni molto dure". Intanto però Bruxelles “ribadisce il suo impegno e il suo continuo sostegno” al deal sul nucleare. Una reiterata disponibilità al dialogo che suona come una beffa

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Un’altra alba e un’altra esecuzione nell’Iran che ha paura di dormire perché ogni mattina si rinnova lo strazio. Majid Reza Rahnavard aveva 23 anni, era un fruttivendolo e anche un atleta, un lottatore professionista, e sui social network si rincorrono le immagini dei suoi allenamenti, immagini di una vitalità inconciliabile con quest’alba di morte. Accusato di aver accoltellato due bassiji il 17 novembre, Rahnavard è stato catturato il 19, e da quel giorno fino alle prime luci di ieri, le autorità lo hanno umiliato e torturato, gli hanno estorto una   confessione, lo hanno sottoposto a un processo-farsa a porte chiuse e condannato all’impiccagione per omicidio e “inimicizia verso Dio”. Rahnavard è infine stato giustiziato, ieri, a Mashhad, poco prima dell’ora della preghiera.

     
L’agenzia della magistratura, Mizan, ha reso noto che l’esecuzione è avvenuta “in pubblico”, ossia davanti a uno schieramento di bassiji. Sui canali Telegram vicini al regime circola una foto, al momento impossibile da verificare, di un uomo vestito di bianco, appeso a una gru, le mani e i piedi legati e un sacco nero sopra la testa, e un video della stessa scena in cui una voce grida “Allahu akbar”. 

   
La famiglia Rahnavard è stata avvisata solo a cose fatte. Nell’ultimo scatto che immortala il giovane manifestante accanto alla madre, lui sorride e lei lo accarezza con gli occhi. “Lei credeva che sarebbe stato rilasciato”, hanno raccontato fonti vicine alla famiglia a proposito dell’ultimo incontro tra madre e figlio. E invece, alle sette della mattina a casa Rahnavard è squillato il telefono e la famiglia è stata invitata a raggiungere il lotto 66 del cimitero di Behesht-e Zahra. Nessuna speranza di rivederlo un’ultima volta, il giustiziato era già stato sepolto. “Diletto della patria! Martire della nazione!”, hanno scandito i famigliari, indomiti davanti all’orrore, mentre disponevano fiori sulla terra fresca. 

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Nel frattempo i toni dell’Unione europea verso la Repubblica islamica iniziano a inasprirsi. Ieri l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, Josep Borrell, ha annunciato “un pacchetto di sanzioni molto dure”. Nelle conclusioni del Consiglio sulla situazione in Iran, i 27 hanno espresso solidarietà verso le aspirazioni degli iraniani e condannato l’uso brutale e sproporzionato della forza nei confronti dei manifestanti. E tuttavia, a un anno esatto dall’ultima chance concessa al negoziato dall’allora ministro degli Esteri del Regno Unito Liz Truss, l’Ue “ribadisce il suo impegno e il suo continuo sostegno alla piena ed effettiva attuazione del Jcpoa”, il deal sul nucleare. Per gli iraniani che giorno dopo giorno rischiano la vita per affermare l’illegittimità del regime questa reiterata disponibilità al dialogo suona davvero come una beffa, e intanto le autorità iraniane rilanciano la sfida annunciando sanzioni nei confronti di dieci persone e cinque entità europee, colpevoli di aver “sostenuto gruppi terroristici e incoraggiato la violenza e il terrorismo”: c’è anche Charlie Hebdo e ci sono anche molti esponenti della politica tedesca.

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