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questioni di geopolitica

Un’agenda per il G3: Cina, Stati Uniti e Unione europea

Pier Carlo Padoan

Un test per capire come l’Ue potrà entrare a gamba tesa nei rapporti tra l'America e il Dragone. Passare dal G2 a un confronto a tre richiederebbe che l'Europa rafforzasse l'integrazione bancaria e quella tecnologica

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All’indomani dell’attacco della Russia all’Ucraina ho scritto su queste pagine che il G20 era morto, in quanto alcuni importanti membri del G20 si trovavano su sponde avverse, per cui sarebbe stato difficile per il G20 continuare a svolgere il ruolo di governance della economia globale che era iniziato con lo scoppio della grande crisi finanziaria esplosa nel 2008. Oggi il G20 è ancora vivo anche se non certo in ottima salute. Ma rimane aperto l’interrogativo. Sarà il G20 in grado di trovare nuove forme di cooperazione innanzitutto tra i suoi membri? Non lo sappiamo ma possiamo immaginare a quali condizioni tale cooperazione potrà svilupparsi. Ma soprattutto quali saranno i principali protagonisti di tale cooperazione. Rispondere a questa domanda è relativamente facile, la Cina, gli Stati Uniti e… l’Ue se riuscirà a rafforzare il suo assetto istituzionale, economico, e politico.

 

Proviamo a effettuare un piccolo test. Consideriamo le condizioni che ciascuno dei tre paesi dovrebbe soddisfare (in base ai dettami della così detta “international political economy”) per essere disposti e in grado di partecipare a un accordo per la governance globale. I paesi hanno un approccio di lungo periodo alla politica estera? Sì certamente la Cina, forse gli Usa, forse l’Ue a condizione che ci sia accordo tra i suoi paesi membri. I paesi sono disposti a cambiare le proprie preferenze in tema di relazioni internazionali se necessario? Difficile pensarlo per la Cina e gli Stati Uniti. Più probabile per l’Ue anche se occorrerebbe definire una “preferenza europea” per le relazioni globali e non semplicemente la preferenza di alcuni suoi membri. I paesi sono disposti a considerare beni pubblici globali come sicurezza, salute, tecnologia come oggetto di governance condivisa? Un sì a mezza bocca da parte di Ue e Usa, mentre appare molto difficile per la Cina. Sono i paesi, o meglio i governi dei paesi in grado di ottenere il consenso interno per la loro politica estera? La Cina non avrebbe problemi mentre il processo di ottenimento del consenso interno sarebbe assai più complesso per Usa e Ue, due democrazie parlamentari.

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Sono i paesi disposti a cooperare a livello globale con l’obiettivo di formare club (accordi regionali)  per la produzione di beni pubblici globali? L’Ue sarebbe chiaramente a favore visto il ruolo dei processi di integrazione che hanno segnato la sua storia. Ci sarebbero invece molti dubbi per Usa e Cina. Sono i paesi disposti a utilizzare politiche strutturali e all’occorrenza interventiste per ottenere resilienza e sostenibilità delle loro economie? E quale dovrebbe essere il ruolo dello stato nel processo di governance? Per la Cina sarebbe la ovvia via da percorrere, forse lo potrebbe essere in questa fase la condotta dell’Ue. Meno ovvio nel caso degli Usa, anche se le recenti crisi a cominciare da quella pandemica hanno fatto mutare atteggiamento anche per l’Ue e gli Usa. Sono i paesi disponibili a fornire risorse finanziarie per accrescere la resilienza e la capacità di resistere agli choc? Il ruolo del dollaro rende la posizione degli Usa molto forte mentre sia la Cina che l’Ue stanno cercando di accrescere il ruolo globale delle rispettive valute e dei sistemi finanziari che le sostengono.

 

Infine sono i paesi disposti a sostenere istituzioni internazionali come quelle nate con il sistema di Bretton Woods? Ma anche come quelle di più recente attuazione come il Financial stability board? La Cina è stata molto attiva in questo senso con il sostegno a due banche globali di sviluppo. Un atteggiamento molto più “inward oriented” è quello degli Usa. L’Ue invece non riesce ancora a fare il salto di qualità per rendere l’euro una vera valuta globale. Se dovessimo assegnare dei pesi alle risposte che proponiamo ne emergerebbe la seguente immagine. La Cina è disponibile a un atteggiamento cooperativo sulle tematiche 1, 4, 6, ma resta fredda sugli altri temi. Ne deriva l’immagine di un paese che colloca le proprie scelte nel lungo periodo, non ha problemi nell’ottenere consenso domestico e non ha dubbi nell’utilizzo di politiche pubbliche per ottenere i propri scopi.

 

Gli Stati Uniti sono disposti a collocarsi in un’ottica di lungo periodo e di sostenere la governance globale con adeguate risorse finanziarie e non solo. Infine l’Ue è disposta a sostenere accordi regionali e a rispondere positivamente alle altre domande ma forse con scarso entusiasmo. Ne segue che la configurazione più probabile della governance globale è quella di un G2, Cina e Usa, costruita all’interno di un equilibrio basato sul confronto piuttosto che sulla cooperazione e ancor meno sull’integrazione. Una configurazione la cui stabilità e resilienza sarebbero tutte da verificare. Passare dal G2 al G3, invece richiede un rafforzamento dell’Ue che vuol dire: completare l’integrazione bancaria e dei mercati dei capitali (per rafforzare il ruolo globale dell’euro) e rafforzare l’integrazione tecnologica per non perdere terreno sul piano della competitività. Mettere in atto un’architettura istituzionale in grado di far fare un salto di qualità anche dal punto di vista della crescita, quindi una riforma del Patto di stabilità attenta alla sostenibilità del debito e che faccia proprie le lezioni del Next Generation Eu anche per la produzione di beni pubblici europei. In assenza di questo salto di qualità il sistema globale sarebbe guidato dal G2. Il G20 sarebbe forse ancora in vita, ma con un ruolo assolutamente marginale in cui il principale fattore di interesse alla partecipazione sarebbe la dinamica delle aggregazioni tra paesi di rango inferiore.

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