Joe Biden (Getty Images) 

Ragioni per ringraziare Biden per i primi due anni a difesa della libertà

Claudio Cerasa

Dall’Ucraina alla Cina. Dall’Iran al trumpismo. E poi la guida ferma contro il macellaio russo. Oltre il midterm c’è di più. Il senso del presidente americano per la libertà

Il midterm conta, ci mancherebbe, e oggi conterà molto sapere, negli Stati Uniti, se al presidente americano, Joe Biden, sarà sfuggito o meno il controllo del Congresso e se in America esiste o meno la possibilità che il trumpismo possa tornare a dettare l’agenda della più importante democrazia del mondo. Conta questo, ovvio, conteranno i numeri, conteranno i risultati, ma dopo due anni di presidenza Biden c’è anche altro che conta. E ciò che conta coincide con una caratteristica dello stile del presidente americano che meriterebbe di essere incasellata in una categoria diversa rispetto a quella in cui tradizionalmente viene inquadrata con un piccolo tocco di superficialità: la politica delle gaffe.

 

Che sia un presidente a volte goffo e gaffeur non c’è dubbio, ma ci sono almeno quattro importanti terreni di gioco sui quali Biden si è impegnato con forza in questi due anni, terreni di fronte ai quali Biden ha usato un linguaggio forte, coraggioso, finalizzato a mettere in campo tutto il necessario per difendere la libertà. E sarebbe sì una grave gaffe non riconoscerlo con onestà, dandogliene anche merito.

  

Non ha avuto dubbi Biden negli ultimi giorni quando si è ritrovato a scegliere se fare una forzatura e se offrire il suo sostegno agli iraniani indifesi, decisi a portare avanti, mettendo a rischio le proprie vite, i moti di protesta indirizzati contro un regime sanguinario, nemico dell’occidente, nemico della libertà, specializzato nel sostenere ogni forma di terrorismo non solo contro i propri dissidenti interni ma anche contro un paese pericolosamente amico della libertà come Israele. Biden, quando ne ha avuto l’occasione, non ha avuto dubbi e anche la scorsa settimana ha espresso la sua solidarietà al popolo iraniano, sottolineando che gli Stati Uniti sono al fianco dei manifestanti pacifici. Biden ha fatto quello che molti cosiddetti spiriti liberi progressisti ancora non riescono a fare fino in fondo e ha creato cioè una sorta di simmetria tra la difesa del popolo iraniano, che si trova sotto schiaffo degli ayatollah, e la difesa del popolo ucraino, che si trova sotto schiaffo di un dittatore che coraggiosamente Biden ha più volte definito per quello che è: un macellaio. E lo ha fatto sapendo che i nemici dei russi e degli iraniani, che in Ucraina hanno scelto di scendere in campo offrendo droni all’esercito russo, sono inevitabilmente amici dell’America, e dell’occidente. E lo ha fatto forte di una guida decisa che gli Stati Uniti di Biden hanno portato avanti negli ultimi mesi nella difesa dell’Ucraina. Non ci sarebbe stata unità dell’occidente senza l’impegno non ambiguo di Biden in Ucraina.

 

Non ci sarebbe stata unità dell’Europa sulle sanzioni senza la direzione chiara tracciata da Biden su questo fronte. Non ci sarebbe stata la capacità dell’Europa di adattarsi alla nuova stagione energetica rendendosi tutto sommato rapidamente indipendente dalla Russia senza il gas liquido fatto arrivare con velocità dagli Stati Uniti all’Europa, compresa l’Italia. Non ci sarebbe stata unità dei paesi europei nel rifornire di armi l’Ucraina se Biden non avesse indicato con chiarezza alla Nato la giusta rotta da seguire. E non sarebbe stato chiaro come lo è oggi che (a) il problema della guerra in Ucraina non è “Zelensky che non vuole fare la pace” ma è Putin che non ha intenzione di negoziare e che (b) portare avanti una forma di pacifismo improntato alla politica dell’essere “inermi” (formidabile il lapsus di Giuseppe Conte) vuol dire non ricordare che in Ucraina il problema non è fermare la guerra: è fermare Putin. La centralità dell’agenda Biden nella difesa dell’Ucraina diventa poi ancora più chiara nel momento stesso in cui si vanno ad analizzare quelle che potrebbero essere le conseguenze di medio periodo di una affermazione al midterm dei repubblicani schiavi ancora oggi dell’agenda Trump. 

   
I repubblicani, come è noto, hanno passato gli ultimi mesi a sostenere la pericolosità assunta dall’interventismo americano in Ucraina e hanno sostenuto in più occasioni che sostenere la resistenza in Ucraina rappresenti un costo inaccettabili per gli americani. Timothy Snyder, fine analista americano, in un prezioso thread su Twitter ha spiegato l’assurdità di questa tesi. E ha spiegato, al contrario, quanto la resistenza ucraina abbia offerto “straordinari vantaggi in termini di sicurezza agli americani” e quanto “la resistenza dell’Ucraina all’invasione genocida della Russia abbia fatto di più per la sicurezza americana di qualsiasi politica americana”. Primo: ha cambiato l’equilibrio globale in un modo che rende più probabile la pace nei decenni a venire e ha contribuito a rendere meno facile da realizzare una guerra più ampia in Europa.

 

Secondo: mostrando cosa è disposto a fare l’occidente per difendere la libertà, ha mostrato anche alla Cina cosa rischierebbe qualora decidesse di ripetere su Taiwan un’operazione simmetrica a quella promossa da Putin in Ucraina (e anche su Taiwan Biden ha usato parole forti, di vicinanza, di fratellanza, di ammonimento duro nei confronti del regime cinese e dei suoi non troppo velati disegni di espansione).

 

Terzo: aiutando gli ucraini a difendersi da soli, l’America ha evitato di far precipitare il mondo in una grande guerra mondiale e potenzialmente nucleare, e mai come oggi per Putin è chiaro cosa vorrebbe dire per la sua Russia usare il nucleare contro gli ucraini. E’ persino imbarazzante, dice Snyder, ammettere che un altro paese, diverso dall’America, stia facendo così tanto per l’America, arrivando al punto di aver messo anche la Cina di fronte allo specchio delle sue ambiguità e delle sue irresponsabilità, ed è difficile ammettere che l’Ucraina abbia fatto di più per la sicurezza degli americani di qualsiasi politica statunitense dalla fine della Guerra fredda. Ma va detto. Così come va detto che invertire la politica statunitense di aiutare l’Ucraina, come chiedono di fare i repubblicani, annullerà tutti questi vantaggi, renderà meno credibile la capacità dell’occidente di difendere la libertà, di prevenire i genocidi, di tutelare la democrazia, ed è curioso che a voler andare contro gli interessi americani siano proprio gli stessi volti repubblicani che sostengono di voler mettere al centro della propria agenda gli interessi degli Stati Uniti.

 

E qui arriviamo al punto finale, il più delicato, il più difficile da accettare a destra, ma il più importante forse da mettere a fuoco. Biden, certamente, non è il miglior interprete possibile che il mondo genuinamente liberal e il mondo conservatore non corrotto dal nazionalismo potrebbero immaginare di avere a disposizione per arginare l’ondata di ritorno del trumpismo. Eppure le parole scelte da Biden per inquadrare il pericolo rappresentato da Trump, che per chi se lo fosse dimenticato il 6 gennaio del 2021 fu a un passo dal sostenere una rivolta di complottisti desiderosi di mettere a ferro e fuoco il cuore pulsante della democrazia americana per evitare di riconoscere la sconfitta di Trump, sono perfette e meriterebbero di essere registrate anche da tutti coloro che non capiscono quale sia la contraddizione tra l’essere a difesa della libertà ed essere a difesa del trumpismo. “Per molto tempo – ha detto Biden – ci siamo convinti del fatto che la democrazia americana fosse garantita. Non lo è. Dobbiamo lottare, difenderla. Proteggerla. Ognuno di noi.

 

La democrazia Usa è in pericolo e deve essere difesa da Donald Trump e le forze della destra estremista che la minacciano e vogliono riportarla indietro, privando il popolo dei suoi diritti fondamentali. Trump e i suoi estremisti al seguito sostengono leader autoritari, soffiano sulle fiamme della violenza politica e costituiscono una minaccia alle fondamenta stesse della nostra Repubblica”. La stagione della democrazia esportata è finita, certo, ma la stagione della necessità di non essere ambigui di fronte ai nemici della libertà è la cifra della fase  che stiamo vivendo. E in due anni di mandato Biden quando ha scelto da quale parte della storia schierarsi non ha mai sbagliato tavolo. Non è tutto, ma non è poco.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.