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Il rimbalzo estivo dei democratici si è esaurito e la via per vincere a mid-term è stretta

Marco Bardazzi

L’Amministrazione Biden è molto attiva, ma ai repubblicani bastano sei seggi per prendere il Congresso. I tre stati decisivi per il Senato e il tocco magico perduto di Trump

I rimbalzi sono divertenti se li fai sul tappeto elastico o giocando a basket. Ma in politica se non arrivano al momento giusto possono far male. Perché dopo il rimbalzo c’è sempre quella faccenda della legge di gravità che ti riporta giù. Se gli Stati Uniti fossero andati al voto di metà mandato all’inizio di settembre, con i democratici al picco di un rimbalzo che li ha visti salire per tutta l’estate, il partito del presidente Joe Biden avrebbe avuto buone chance di conservare il controllo del Senato e giocarsela per la Camera. Ma il voto per rinnovare tutti i deputati e un terzo dei senatori è fissato l’8 novembre e gli effetti del bounce estivo sembrano in buona parte esauriti. A un mese dal voto l’esito delle elezioni per il Congresso è tornato in bilico. Anzi, per molti sondaggisti è tornato a pendere decisamente verso i repubblicani. A meno di un nuovo rimbalzo per qualche sorpresa d’ottobre. 

Il voto di metà mandato è sempre più complesso di quello che appare ed è reso ancora più difficile da prevedere per il rinnovo, lo stesso giorno, di 36 governatori su 50. Un mezzo terremoto che potrebbe cambiare il destino dell’Amministrazione Biden e anche quello delle aspirazioni presidenziali di Donald Trump. In quest’ultimo caso, non necessariamente a suo favore. Proviamo a fare ordine e tracciare lo scenario attuale del “grande gioco del mid-term”. 

 

Dopo una prima metà dell’anno in cui la perdita del controllo del Congresso da parte dei democratici appariva scontata, l’estate ha raccontato un’altra storia. La Casa Bianca ha inanellato un’inattesa serie di successi, facendo risalire l’anemico indice di gradimento degli americani per il lavoro del presidente. Sono stati varati provvedimenti di portata epocale su clima, infrastrutture, rilancio della produzione dei microchip, welfare. Anche una legge sulla cancellazione del debito universitario per i giovani, per quanto discussa, ha contribuito a dare l’idea di un’Amministrazione Biden iperattiva. 

Nello stesso tempo i dati sull’occupazione hanno ripetutamente battuto le aspettative e il costo della benzina alla pompa – uno degli indicatori su cui l’americano medio è più sensibile – ha cominciato a frenare. Un Biden più aggressivo del solito è poi uscito dalla Casa Bianca per sfidare un paio di nemici. Da una parte Vladimir Putin, con il quale ha mantenuto la linea dura insieme al resto del G7. Dall’altra Donald Trump, che ha attaccato frontalmente a Filadelfia in un discorso ad altissimo tasso di retorica, accusando per la prima volta l’intero movimento Maga (Make America Great Again) di essere una minaccia per la democrazia americana.   

Infine c’è stato l’“effetto Roe”. La sentenza della Corte Suprema di fine giugno che ha cancellato il diritto costituzionale all’aborto, sancito mezzo secolo fa dalla storica decisione Roe v Wade, è diventata una gigantesca grana per i repubblicani, perché sta mobilitando l’elettorato democratico oltre le aspettative. Il voto in agosto nel Kansas conservatore, nettamente a favore della difesa del diritto all’interruzione di gravidanza, è stato un campanello d’allarme fortissimo per la destra. Con la conseguenza che una vittoria inseguita per decenni, quella contro Roe, è diventata un tema tabù in campagna elettorale: i candidati repubblicani evitano di parlare di aborto e cercano di spostare il tiro sull’economia, i rivali invece stanno mettendo Roe al centro di tutto. 

Nelle stesse settimane estive delle incursioni di Biden, Trump era sulla difensiva per gli effetti della clamorosa perquisizione da parte dell’Fbi nella sua villa in Florida. Come un pugile messo all’angolo, l’ex presidente è apparso a lungo in difficoltà a ritrovare il proprio tocco magico anche nelle primarie per la scelta dei candidati repubblicani per il Congresso. Ne ha piazzati molti, ma ha anche subito una decina di sconfitte pesanti, trovandosi a giocare non più il ruolo di kingmaker, bensì quello di un player importante, ma non necessariamente vincente. 

E qui si apre lo scenario del settembre appena concluso, più complesso da decifrare. Gli effetti del rimbalzo estivo dei democratici sono esauriti, i repubblicani hanno recuperato terreno, ma non i candidati più puramente trumpisti. Con il risultato che si potrebbe andare verso una vittoria piena dei repubblicani a novembre, ma con un Trump più debole del previsto. Gli uomini di punta che ha sostenuto per il Senato e per il ruolo di governatore rischiano di perdere. 

 

L’ex saggista JD Vance è in un testa a testa con il democratico Tim Ryan in Ohio. Mehmet Oz in Pennsylvania insegue con affanno John Fetterman, mentre il presidente della controversa Thiel Foundation Blake Masters non sembra tenere il passo del rivale Mark Kelly in Arizona. Doug Mastriano pare già ko in Pennsylvania nella sfida per il posto di governatore contro Josh Shapiro (il sondaggista Nate Silver attribuisce a quest’ultimo 95 probabilità di vittoria su 100). Identico discorso per il Maga Tudor Dixon in Michigan, dove l’odiata (dai repubblicani) Gretchen Whitmer viaggia spedita verso la riconferma.  L’endorsement dell’ex presidente non sembra più funzionare come prima, ma i democratici hanno poco da festeggiare. Il loro problema non è tanto la popolarità di Biden: l’attuale tasso di approvazione è al 42 per cento, più o meno dove si trovavano, alla fine del secondo anno, Trump, Obama, Clinton e Reagan.

Il problema dei democratici sono altri numeri. Alla Camera ai repubblicani bastano sei seggi in più per prendere il controllo. I democratici ne devono mantenere almeno 218 (rispetto ai 221 attuali) e lo scontro sarà su 23 distretti che risultano incerti. Ma l’insieme dei sondaggi al momento dice che i repubblicani ne vinceranno almeno 12, conquistando la maggioranza.  Al Senato, il partito di Trump ha molteplici strade per arrivare alla vittoria, nonostante la debolezza dei candidati Maga. Basta un solo seggio per rompere l’attuale equilibrio e spostare il Senato nella casella dei repubblicani. Nell’incrocio delle molte vie per vincere, tutti gli occhi sono puntati su tre sfide che potrebbero risultare decisive: Georgia, Nevada e Pennsylvania. Secondo gli strateghi, chi ne vince due su tre controllerà il Senato.