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La lettera di Kaag

Meloni e i Falchi europei. Il potere negoziale dell'Italia sul Patto di stabilità

David Carretta

Germania e Paesi Bassi frenano sulla riforma (che dovrebbe tornare in vigore nel 2024) per rendere le regole fiscali dell’Ue troppo blande per i paesi molto indebitati. Due sono gli obiettivi su cui tutti invece si dicono d’accordo: semplificare un sistema indecifrabile e modificare il rapporto per la riduzione del debito

Bruxelles. A una settimana dalla presentazione delle proposte della Commissione per riformare il Patto di stabilità e crescita, i ministri delle Finanze di Germania e Paesi Bassi, Christian Lindner e Sigrid Kaag, hanno lanciato un avvertimento contro la tentazione di rendere le regole fiscali dell’Ue troppo blande per i paesi molto indebitati. Per una volta, grazie al governo Draghi, l’Italia arriva al negoziato con due dati positivi: nel 2022 il debito scenderà ben al di sotto del 150 per cento del pil e la crescita sarà tra le migliori della zona euro, nonostante la crisi provocata dai prezzi dell’energia e dalla guerra. Ma la forza negoziale di Roma sarà determinata dalla serietà della legge di Bilancio del governo Meloni e dall’attuazione delle riforme del Pnrr.

La riforma del Patto di stabilità doveva essere messa in cantiere già nel 2019, ma non si è ancora concretizzata per le divergenze tra gli stati membri. La pandemia di Covid-19 e la guerra in Ucraina hanno permesso alla Commissione di continuare a rinviare di trimestre in trimestre le sue proposte. Con il Patto che dovrebbe tornare pienamente in vigore nel 2024, è arrivato il momento di fare delle scelte e aprire le trattative all’Eurogruppo e all’Ecofin. Due sono gli obiettivi su cui tutti si dicono d’accordo: semplificare un sistema talmente complesso che è diventato indecifrabile; e modificare la regola che impone una riduzione del debito di un ventesimo l’anno per la quota superiore al 60 per cento del pil perché considerata insostenibile e inapplicabile. A dividere i ministri delle Finanze sono i dettagli della riforma del Patto. Data la massa di investimenti necessari alle transizioni climatica e digitale, la Commissione vuole dare più margine di manovra a tutti i governi. Inoltre, vorrebbe ispirarsi al Recovery fund per introdurre un sistema meno intrusivo sui conti pubblici, dando ai governi nazionali più “ownership” (titolarità) sulle scelte di bilancio: i singoli paesi dovrebbero concordare con la Commissione piani pluriennali di riduzione del debito (4 o 5 anni con possibile estensione) adattati alla loro situazione. Secondo indiscrezioni di Handelsblatt, i paesi con un debito sopra il 90 per cento del pil sarebbero considerati ad “alto rischio” e dovrebbero realizzare sforzi maggiori verso l’obiettivo del 60 per cento. Se un governo devia dal percorso concordato, la Commissione dovrebbe avviare procedure per deficit eccessivo e comminare sanzioni in modo più automatico.

Il ministro tedesco delle Finanze, Christian Lindner, ha usato un’intervista al Financial Times per fissare le sue linee rosse. Lindner ha detto di essere favorevole a percorsi di aggiustamento dei conti “più lenti”, ma ha spiegato che “non sarebbe saggio avere accordi individuali sull’applicazione delle regole del Patto di stabilità che sono negoziate su base bilaterale”. Per la Germania, “le regole devono essere rispettate da tutti allo stesso modo”. Il ministro olandese delle Finanze, Sigrid Kaag, ha scelto la formalità di una lettera al vicepresidente della Commissione, Valdis Dombrovskis, per indicare i paletti dei Paesi Bassi. La premessa è un’accusa alla Commissione: “Il rispetto e il controllo delle regole del Patto di stabilità sono stati insufficienti in passato”, si legge nel testo che il Foglio può rivelare. Per i Paesi Bassi, i meccanismi di controllo e sanzioni devono diventare “più credibili”. Servono “salvaguardie chiare” per costringere la Commissione ad agire quando “gli stati membri non riescono a rispettare le regole, inclusa l’attuazione delle procedure per deficit eccessivo”. Le regole attuali lasciano troppo margine “discrezionale” alla Commissione. Secondo Kaag, ci devono essere “regole chiare su come e quando” applicare clausole di flessibilità, inclusa la sospensione del Patto (la clausola di salvaguardia generale) o i fattori rilevanti (che in passato sono stati usati dalla Commissione per evitare di aprire procedure di infrazione). Sigrid Kaag vuole anche un sistema più stringente in caso di “piccole deviazioni” dagli obiettivi di riduzione del deficit per evitare che nel corso degli anni diventino “grandi deviazioni”. E’ il caso dell’Italia prima della pandemia che, beneficiando di anno in anno di molteplici flessibilità, ha continuato a incrementare il debito.

Coordinate o no, le iniziative di Lindner e Kaag mostrano quanto sarà difficile la riforma del Patto. Il negoziato si intreccia con altri temi controversi, come la solidarietà finanziaria sul caro bollette (Lindner è contrario a strumenti di debito comune). In un rapporto pubblicato a fine ottobre l’European fiscal board (il gruppo di saggi che consiglia la Commissione) ha dato il suo appoggio a un approccio differenziato che porti a una “strategia nazionale di medio termine di riduzione del debito” negoziato con la Commissione. E’ il modello di “ownership” ispirato dei Pnrr: sono i governi nazionali ad avere la titolarità delle scelte di bilancio e dei tempi dell’aggiustamento fiscale, ma è la Commissione che certifica il fatto che rientrano nelle regole del Patto di stabilità. Secondo l’European fiscal board, se gli impegni non vengono rispettati devono esserci “costi reputazionali” per i governi e la “certezza” di una procedura per deficit eccessivo. Ma per superare le resistenze di Germania e Paesi Bassi serve soprattutto fiducia. La scelta di Draghi di non procedere a ulteriori scostamenti di bilancio e la sua ossessione per gli obiettivi del Pnrr hanno gettato le basi per permettere all’Italia di essere più forte nel negoziato sul Patto. Più il governo Meloni “proseguirà su un percorso di riduzione del debito e riforme, meno paure ci saranno da parte dei falchi fiscali”, spiega al Foglio una fonte dell’Ue.