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verso il voto

Ben-Gvir, il volto dell’ultradestra israeliana che infastidisce Netanyahu

Luca Gambardella

Ritratto del leader nazionalista, ago della bilancia in vista delle elezioni di martedì prossimo. E che oggi dice ai palestinesi: "Siamo noi i padroni di casa"

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Lo scorso 20 aprile a Gerusalemme, Itamar Ben-Gvir aveva deciso di sfidare gli avvertimenti della polizia segreta israeliana. Il rischio di scontri con i palestinesi era elevato, aveva dichiarato lo Shin Bet. Erano le settimane in cui gli attacchi terroristici per le vie di Tel Aviv avevano portato a decine di morti. C’era chi parlava di una nuova imminente intifada ed era meglio evitare provocazioni partecipando alla Marcia delle bandiere verso la porta di Damasco. Ma il leader del partito di ultradestra, Potere ebraico, non poteva invece trovare un palcoscenico migliore del quartiere musulmano nella Città vecchia. Così, circondato da giovani nazionalisti che celebravano l’inizio dell’occupazione israeliana del ’67, Ben-Gvir appariva sorridente, sovrastato da centinaia di bandiere. “Morte agli arabi”, intonavano i manifestanti. “E’ un provocatore che prova ad accendere la tensione”, lo aveva definito  Naftali Bennett. Due anni prima, l’ex premier aveva rifiutato di allearsi con Ben-Gvir perché si era fatto ritrarre nel salotto di casa sua con alle spalle una foto di Baruch Goldstein, l’estremista che nel 1994 aveva massacrato 29 palestinesi e ne aveva feriti altri 129 mentre erano in preghiera a Hebron. “Va bene, la tolgo, in nome dell’unità della destra israeliana”, aveva risposto il leader nazionalista, come se il problema fosse  il genere di arredamento e non  le sue simpatie estremiste. Ancora oggi, però, Ben-Gvir si dichiara candidamente seguace di Rabbi Meir Kahane, assassinato a New York da terroristi islamici e  leader del partito di estrema destra Kach, messo fuori legge per le sue tesi razziste. 

  

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In vista del voto di martedì prossimo – il quinto in appena quattro tormentati anni di instabilità politica –, il partito di Ben-Gvir si candida a essere l’ago della bilancia di una rincorsa tiratissima. I sondaggi danno avanti il Likud di Benjamin Netanyahu con 31 seggi, seguito dai 25 del premier Yair Lapid. Potere ebraico sarebbe terzo con ben 14 seggi, sufficienti ad avere un potere notevole sulla direzione da imprimere alla prossima Knesset. Per avere la maggioranza necessaria, a Bibi servirà stringere alleanze e molti osservatori hanno ipotizzato che una delle più probabili sarebbe quella con gli ultranazionalisti di Potere ebraico. 

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Oggi Ben-Gvir cerca di darsi le sembianze del moderato. A distanza di pochi mesi dalla Marcia delle bandiere, dice che il problema non sono tutti gli arabi, ma i terroristi. Ma le tesi di fondo rimangono sempre le stesse. In cima al suo programma elettorale c’è il rifiuto alla soluzione dei due stati, poi a corollario, lo smantellamento dell’Autorità nazionale palestinese, la privazione del diritto di voto per i palestinesi, la deportazione degli arabi che non giurano fedeltà a Israele, la pena di morte per i terroristi e l’immunità per i poliziotti che aprono il fuoco contro gli aggressori, anche prima che questi li attacchino. “Certo possiamo convivere con i palestinesi – ha spiegato recentemente al Wall Street Journal – Ma loro devono capire che siamo noi i padroni di casa. Siamo tornati, dopo duemila anni”. 

  

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Sin dal periodo degli attacchi  terroristici di marzo, Netanyahu e Bennett avevano intuito la minaccia. Gli ultranazionalisti avrebbero potuto tradurre facilmente in voti lo scontento, la rabbia e la paura covate da quelle fasce della popolazione più reazionarie e stanche dei continui attentati. Anche la destra moderata decise allora di usare toni più incendiari. “Per chiunque abbia il porto d’armi, questo è il momento di portare con sé la pistola”, aveva incitato Bennett. Dall’inizio dell’anno, anche Netanyahu ha incentrato la sua campagna elettorale sui temi della sicurezza e dell’inadeguatezza del governo nella lotta ai terroristi, ma questa competizione che giocava con la paura degli israeliani ha finito per avvantaggiare proprio Ben-Gvir. 

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In caso di vittoria, Netanyahu si troverà davanti a un dilemma. Stringere un accordo con gli ultranazionalisti oppure rivolgersi altrove. L’editorialista israeliano Ben Caspit, su al Monitor, ha scritto che allearsi con l’ultra destra “sarebbe un incubo per Netanyahu, abituato a essere un leader pragmatico, che ha sempre preso le distanze dall’avventurismo politico e militare”. Con Yair Lapid e Benny Gantz che hanno già dichiarato di non volere fare un governo con Ben-Gvir, l’alternativa per Bibi potrebbe essere invece quella da grande stratega: proporre ai centristi un accordo per salvare il paese dagli estremisti. 

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