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Il risveglio inglese

La Gran Bretagna sta cadendo a pezzi. Le sfide per Liz Truss

Jeremy Cliffe

Il carattere di The Queue – l'arte di fare la fila in modo ordinato – servirà per gestire le tante crisi del Regno. Lo "stile Thatcher" della nuova premier trasuda solo nostalgia degli anni Ottanta e, in una situazione di shock energetico e di alta inflazione, l'offerta politica non è rassicurante

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Poche cose sono importanti per il senso che i britannici (e soprattutto gli inglesi) hanno di sé stessi quanto l’arte di fare le code in modo ordinato ed educato. Si dice che quest’arte testimoni ogni virtù nazionale: la capacità di far fronte alle avversità e alle difficoltà quotidiane (si fa la coda quando c’è una qualche penuria), il fair play e il rispetto delle regole del gioco (siamo il paese che ha inventato il calcio, il rugby e il cricket) e una specie di decoro che in qualche modo combina uguaglianza (in coda, tutti sono uguali) e deferenza (fare la coda significa subordinare la propria importanza a quella di ciò o di chi si fa la coda). 

 

 Il periodo di massimo splendore del queueing britannico fu la Seconda guerra mondiale e gli anni immediatamente successivi – gli anni della resistenza nazionale ai bombardamenti tedeschi del Blitz prima e ai lunghi anni di razionamento poi. Nel 1944 George Orwell scrisse della straordinarietà del “comportamento ordinato delle folle inglesi, la mancanza di spintoni e litigi, la disponibilità a formare code”. Nel 1946 l’umorista George Mikes scherzava sul fatto che “un inglese, anche se è solo, forma una coda ordinata di uno”.

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Questo ci permette di capire perché The Queue, la fila per la regina Elisabetta II, ha assunto un’importanza così centrale, persino mistica. Al massimo, la cosa ha raggiunto i 16 chilometri attraverso il centro di Londra lungo il Tamigi, con un’attesa di oltre 24 ore senza posti a sedere o ripari per le fredde notti di inizio autunno. I media deliziati hanno raccontato di persone giovani e anziane e di tutte le classi sociali che arrivavano da ogni parte della Gran Bretagna per unirsi alla coda, facendo amicizia nella coda, cantando e condividendo fiaschette di tè o coperte per riscaldarsi nella coda, persino innamorandosi nella coda. 

 

Tuttavia, l’importanza di The Queue va al di là del normale entusiasmo britannico nel stare ordinatamente in fila. Parla anche della situazione più generale del paese alla fine del regno di Elisabetta II e all’inizio di quello di Carlo III. Era dai tempi dell’immediato dopoguerra che il paese non viveva una tale densità di crisi, problemi e sfide all’idea che ha di sé stesso

 

Dal referendum sulla Brexit del 2016 la politica britannica ha sperimentato un livello di instabilità che in precedenza associavamo più all’Italia. La regina è morta a soli due giorni dall’inizio della premiership di Liz Truss, il quarto primo ministro dal 2015. Truss è debole: il suo Partito conservatore dimostra di avere pochi talenti e poche idee nuove dopo 12 anni al potere; soltanto una minoranza dei suoi parlamentari l’ha sostenuta alle elezioni per scegliere il successore di Boris Johnson; e il suo curriculum come ministro mostra pochi risultati significativi. Le sue dichiarazioni dopo la morte della regina non sono state né salde né scorrevoli. La sua piattaforma politica in stile Thatcher – tagli alle tasse e deregolamentazione in un paese in cui sia le tasse sia la regolamentazione sono già basse rispetto agli standard europei – assomiglia più a una nostalgia degli anni Ottanta che a un piano serio per rilanciare la Gran Bretagna.

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Truss eredita un paese che sta vivendo il più grave shock energetico dell’Europa occidentale; secondo il Fondo monetario, gli aumenti dei costi colpiranno la capacità di spesa delle famiglie britanniche di oltre l’8 per cento, rispetto al 6 dell’Italia e al 4 della Germania. Il piano del governo di congelare le bollette per due anni dovrebbe costare la ragguardevole cifra di 150 miliardi di sterline (171 miliardi di euro), il doppio del costo delle misure di salvataggio introdotte durante la pandemia di Covid-19. Al di fuori dell’Ue e delle politiche comuni per la protezione delle famiglie, il paese si sente improvvisamente molto solo. Ci sono poi problemi economici più ampi che vanno dal lungo termine (produttività inferiore all’Italia e molto più bassa di Francia e Germania) al breve termine (la Brexit e il calo degli scambi che ha prodotto). L’inflazione, l’anno prossimo, dovrebbe superare il 18 per cento, il valore più alto di ogni altra grande economia occidentale. La sterlina è recentemente scesa al livello più basso degli ultimi 37 anni rispetto al dollaro. Molti britannici sono rimasti scioccati nel leggere una recente analisi del Financial Times che mostra come la famiglia media britannica sarà più povera di quella slovena entro il 2024 e più povera di quella polacca entro il 2030. 

 

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Questi problemi si sentono in tutto il paese. Il Servizio sanitario nazionale, gestito dallo stato, è in modalità di emergenza permanente, con storie terribili quest’estate di pazienti che muoiono nelle ambulanze fuori dagli ospedali pieni oltre la loro capacità. Le infrastrutture al di fuori di Londra sono pessime. Il Regno è segnato da un crescente divario tra la prospera capitale e le regioni post industriali del nord e del Galles, che sono le più povere dell’Europa nord-occidentale. . Nel frattempo, il confine commerciale tra l’Irlanda del nord e la Gran Bretagna continentale, creato in base ai termini dell’accordo BrexiA giugno, il governo scozzese ha annunciato l’intenzione di indire un nuovo referendum sull’indipendenza nell’ottobre del 2023t della Gran Bretagna con l’Ue, rende sempre più realistica la prospettiva di una riunificazione irlandese a medio termine.

 

Da britannico che vive fuori dalla Gran Bretagna (a Berlino), osservo questi sviluppi con disperazione. Ogni volta che torno, la politica del mio paese mi sembra un po’ più piccola rispetto alle dimensioni delle sfide, il tessuto civile un po’ più lacero, l’umore della gente un po’ più rassegnato. Come mi ha detto di recente un amico britannico: sembra che il Regno Unito stia cadendo a pezzi. Questo era il paese che Truss aveva ereditato al suo arrivo al 10 di Downing Street il 5 settembre. E’ il paese che, nella prima serata dell’8 settembre, ha appreso che l’unica figura costante e stabile degli ultimi 70 anni, la regina, era morta nel suo castello in Scozia. E’ il paese che nei giorni tra la sua morte e il funerale ha goduto di una specie di vacanza dalla realtà: un momento di aggregazione, di unità, di ricordo di tempi più felici. E’ il paese in cui 100 milapersone hanno atteso a lungo in coda per renderle omaggio.

  

Ora il funerale è finito. Il regno di Carlo III sta sorgendo e la realtà, dura, inizia a tornare, con i mercati e gli economisti che guardano con scetticismo il mentre il governo inizia a svelare il suo programma per la “policrisi”. Anche nella migliore delle ipotesi, il Regno si trova ad affrontare alcuni anni molto difficili. Nel peggiore dei casi, rischia un declino accelerato e permanente. E questo spiega la particolare risonanza di The Queue. Riassume proprio le virtù – pazienza, ordine, educazione, decoro, unione nelle avversità – di cui il paese avrà bisogno, più di quanto abbia fatto in molti decenni, nei tempi duri che ci aspettano. 

  

Jeremy Cliffe, writer at large della rivista New Statesman

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