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I fatti, non le opinioni, dicono che l’Ucraina le sta dando di santa ragione alla Russia

Giuliano Ferrara

Possibile che una terra di grano, di leggende e di arcaismi diventi una terra consacrata alla persistenza tignosa di una libera scelta, una lezione universale? Certo che sì

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Si può diffidare delle celebrazioni di guerra, specie nel mondo della chiacchiera dove dovrebbero bastare il capo chino e la coda tra le gambe degli amici del più forte in fase di ritirata, ma non si può non vedere quanto sia grande, benedetta, illustre la semplificazione magica che i fatti hanno introdotto irrefutabili nel nostro vaneggiamento d’opinione. Le parole pesanti come carri armati, come lanciamissili Himars, sarebbero insignificanti nell’universo o metaverso dell’algoritmo, dove tutto è o appare interpretazione, sofisma digitale: strafottenza autocratica, crudeltà e ferocia di strada, impeto belluino travestito da operazione speciale, imperialismo, piombo, bombardamenti di forza tellurica, prepotenza e prevalenza in strumenti di guerra convenzionali come armi, munizioni, uomini, ricatto energetico e promessa di cupa miseria per gli amici di chi si difende, stragi e offese alla comune umanità di donne, di vecchi e di bambini, sfollamento milionario in un nuovo Esodo; e di converso spirito cosacco, patriottismo, coraggio, unità nel portare la bandiera alla riconquista contro chi la voleva ridurre in brandelli, rimobilitazione storica di un punto cardinale dimenticato, l’occidente, salvezza per chi può e traversie di piccola gente, di gatti, di maiali, di asini, di cani, di camminatori sulle vie ingombre di macerie, immagini di una disfatta apparente e di una reazione efficace, prendere a sorpresa il nord-est per il sud come Colombo che voleva buscar el Levante por el Poniente, un’operazione sì speciale che per adesso, intanto, spunta le corna al nemico e lo costringe in una situazione di crisi politica e morale, se non lo spingerà finalmente, come hanno sempre sperato coloro che hanno dato una mano agli ucraini contro gli ignavi, a considerare il negoziato rigettato per mesi.

 

La guerra non igienizza alcunché, è sporca e brutta malgrado le bellurie futuriste, ha costi insopportabili, carnali e spirituali, ma semplifica, fa capire oltre il suo perimetro militare, genera romanzo, produrrà ricordo, ci dà la chiave della verità e della giustizia nella battaglia di sempre contro la superbia, l’oltranza, la cattiveria e la menzogna. Uno si domanda: ma è davvero possibile che un paese fragile come tanti nell’Europa centrale scomparsa per decenni, un paese le cui libertà non furono conquistate ma concesse, octroyées, dalle esitazioni, dalla flemma e dalla capacità politica di uno sconfitto epocale come il compianto Michail Gorbaciov, un paese che ha conosciuto la fame coatta decisa dal Politburo negli anni Trenta, poi l’invasione nazista e la controinvasione sovietica, l’antisemitismo, il collaborazionismo, un paese diviso e insicuro, preda apparente di una folleggiante baldoria ideologica, dove l’Europa occidentale aveva radici malsicure e nuove, è possibile che questo paese di Kyiv, piccolo russo e grande ucraino, frammentato nel culto e nelle etnie, si sia davvero mobilitato fino a darle di santa ragione a un colosso nei settori chiave dell’intelligence condivisa con gli alleati, della tattica bellica per salvare treni, persone, mobilità, casematte? E’ possibile che resista ancora e progredisca sul campo questo patriottismo vero perché costoso, in un mercato di ideali a buon prezzo e di sconvolgenti messe in scena della grandezza neoimperiale dei possessori di armi nucleari e materie prime? Possibile che una terra di grano, di leggende, di arcaismi, di spettri e mostri lunari, di eroi grotteschi e gogoliani perduti tra fiumi scambiati per dèi, diventi una terra consacrata alla persistenza tignosa di una scelta libera, una lezione universale? La semplificazione dice solo questo: sì, certo, è possibile, è stato possibile, sarà possibile.

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