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il simbolo di un'epoca

La regina è morta, lunga vita alla regina

 Richard Newbury

Nel 1947 il solenne atto di dedicazione al commonwealth di Sua Maestà, pronunciato in Sudafrica: “Mentre vi parlo oggi da Città del Capo sono a seimila miglia dal paese in cui sono nata. Ma di certo non sono a seimila miglia da casa”.​​​​​​

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La regina Elisabetta II, così come tutti i suoi sudditi nei cinquantasei paesi del Commonwealth, e in particolare in quelli dei quindici Royal Commonwealth dove è capo di stato, sapeva che stava per morire. Tuttavia non avrebbe mai potuto dimettersi, e non perché fosse egoista o testarda, ma perché vivendo l’intero corso della vita come singola persona, come pure dobbiamo fare tutti noi, ha permesso al drammatico trambusto della politica di seguire un corso più febbrile e inaspettato. Quindi restano il governo di Sua Maestà, e quei poteri che nel mutare dei secoli sono stati conferiti a lei e ai suoi predecessori. Una stabilità strutturale che consente cambiamenti piuttosto drammatici, come si sono verificati e si stanno verificando nel Regno Unito e in tutto il mondo, un quarto del quale sotto il dominio britannico in una forma o nell’altra – quando sono nato, nel 1946 – e tutto ciò senza che ci fosse lo scoppio di una Guerra mondiale. Poiché tutto è mutato in modo ordinato, nel suo lungo regno, lasciando dietro di sé un’infrastruttura: strutturale, istituzionale, linguistica e legale.


La regina non ha permesso al Principe Filippo di condividere l’enorme numero di “scatole rosse” e di “scatole beige” top secret, quelle contenenti tutti i documenti dei ministeri del governo e i rapporti delle ambasciate che devono essere letti, commentati e non sono legge finché lei non li firma. Tutto ciò è stato motivo di attrito nel suo matrimonio con Filippo, soprattutto perché suo padre, Giorgio VI, era invece solito lavorare a stretto contatto con sua moglie, la regina Elisabetta, e trattava la sua figlia maggiore, Lilibet, come sua apprendista in quello che lui, come un ispettore di fabbrica, chiamava “The Firm”.

 

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Tuttavia l’erede di Elisabetta II, il re Carlo III, riceve ora la maggior parte, se non tutti, di quei documenti, il che dovrebbe fargli aprire un po’ gli occhi, per quanto ingenui. Data l’età di Carlo, si può supporre che il principe William stia già ora “imparando il mestiere” – senza dubbio incoraggiando il comportamento piuttosto shakespeariano del fratello principe Harry con Meghan, la sua Signora Velocità. E quindi non cambia nulla, ma tutto ciò aumenta la “Gaiety of Nations”, l’allegria delle nazioni, che è pure un ruolo importante della monarchia.

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Tuttavia, il ruolo di un monarca moderno è quello di “essere” piuttosto che di “fare”; di essere un orecchio che non offre mai alcun indizio di ciò che gli è stato confidato, di essere qualcuno che ha visto tutto e ha incontrato tutti nel corso della vita; in una parola: “Trust”, fiducia. Il 21 aprile 1947, in occasione del suo ventunesimo compleanno, la principessa Elisabetta parlò in un filmato durante il suo Solenne Atto di Dedicazione a Città del Capo in Sudafrica, e pronunciò il suo Solenne Atto di Dedicazione al Commonwealth: “Mentre vi parlo oggi da Città del Capo sono a seimila miglia dal paese in cui sono nata. Ma di certo non sono a seimila miglia da casa”.

 

Probabilmente è stata l’ultima persona a sapere che era diventata la Regina Elisabetta II, mentre se ne stava sulla casa su un albero, isolata, circondata da elefanti selvatici vicino a un abbeveratoio nella savana del Kenya. La morte l’ha colta in Scozia, nella casa privata che la regina Vittoria costruì con il marito principe Alberto. Che Dio ci aiuti. Dio salvi la nostra gloriosa regina. Che possa regnare a lungo su di noi.

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