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il ritratto

Carlo III, il più chic dei radical chic

Alberto Mattioli

Green ante litteram e violoncellista. Il vizio di dire quel che pensa. L’apprendistato di un Re intraprendente e con un nome Stuart

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Come nuovo re, Carlo III avrà un problema: è abituato a pensare quello che dice e, peggio ancora, a dire quello che pensa. Sua madre aveva forse delle idee, ma di certo si è sempre ben guardata dal manifestarle. Come da prassi costituzionale, del resto: nel Regno Unito, il sovrano è l’arbitro, non un giocatore. Di conseguenza opinioni, gusti e disgusti, antipatie e simpatie li tiene per sé. Da principe del Galles, Carlo li metteva invece per iscritto sotto forma di lettere a ministri e parlamentari, pizzini sui temi a lui cari di cui si biasimava, oltre all’inopportunità costituzionale, la terribile grafia da zitella vittoriana.

Quanto alle sue idee, Carlo è sostanzialmente il più chic dei radical chic. Decisamente in anticipo sui tempi, già negli anni Ottanta imperversava con le sue crociate per l’agricoltura biologica, l’ecologia, l’ambiente, i concimi naturali e contro il brutalismo architettonico e urbanistico. Poiché è coerente, nella sua tenuta di Highgrove produce marmellate e altri prodotti biologici, che si vendono peraltro benissimo, e ci ha pure scritto un libro, che si è venduto meno bene. Quanto alla sua abitudine di conversare con le piante, poteva essere considerata una deliziosa eccentricità molto inglese e molto aristocratica, mentre oggi appare piuttosto l’espressione di un animo doverosamente green.

 

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Anche sua madre parlava con cani e cavalli, ma per un’altra ragione: non dicono mai sciocchezze. Recentemente, Carlo si è anche appassionato alla sostenibilità dell’abbigliamento, creando perfino una “Fashion taskforce” per promuoverla. Anche in questo, o forse per la ben nota parsimonia scozzese della famiglia, ha dato l’esempio: lo si è visto per anni con lo stesso cappotto cammello e, in una memorabile occasione, con una toppa sulla giacca. E non quelle belle toppe di pelle che stanno così bene sui gomiti delle giacche di tweed, proprio un quadratino di stoffa cucito sul davanti per celare il buco di una tarma evidentemente repubblicana. Inutile dire che era elegantissimo anche così. 

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Il punto è che, mentre la sua famiglia ha sempre avuto con quei curiosi parallelepipedi di carta chiamati libri un rapporto fuggevole, considerandoli per lo più elementi d’arredo, lui li legge. E’ insomma un uomo colto, forse l’unico della famiglia dai tempi del principe Alberto, che però era anche insopportabilmente pedante e pesante. Carlo è anche preparatissimo a regnare, visto che aspetta di farlo da più di settant’anni e nell’attesa ha accumulato una serie di competenze disparate ma vastissime che vanno dal saper guidare un elicottero al suonare il violoncello e, pare, pure decentemente. Il modello è il nonno di suo nonno, Edoardo VII, costretto anche lui a un’interminabile attesa mentre mamma Vittoria restava reclusa, sommersa dalle gramaglie, nei suoi castelli iperkitsch fra i quali, appunto, Balmoral (per il giubileo dei sessant’anni di regno dovettero mandarla in giro quasi a forza, perché molti sudditi erano convinti che fosse morta).

Anche Edoardo, nei brevi momenti lasciati liberi dalla sua passione per le attrici e lo champagne, fu un sovrano piuttosto interventista, anche se principalmente in politica estera. Certo, nell’opinione pubblica pesa ancora su Carlo il matrimonio con Diana, la peggior minaccia alla monarchia britannica dai tempi di Hitler. Ma ormai sono storie vecchie, e Camilla è riuscita a farsi, se non amare, almeno apprezzare dai sudditi, e anche dalla suocera. Sarà un’impeccabile regina consorte.

Quanto a lui, si aspetta di vederlo all’opera con una certa curiosità. Ieri è sceso dalla berlina fuori dal cancello di Buckingham e ha stretto un po’ di mani dei dolenti per sua madre, cosa che quest’ultima non avrebbe certo fatto. Si può nutrire qualche apprensione sul fatto che voglia “modernizzare” la monarchia britannica, che a noi piace invece così com’è, meravigliosamente rétro. Il banco di prova sarà la sua incoronazione, che nelle forme tradizionali prevede sei ore di puro medioevo scintillante e spettacolare (vecchia regola: mettete gli inglesi con i piedi su un palcoscenico o con il sedere su un cavallo, e faranno faville). Ma non si sa se e quando si farà. In compenso, oggi dal balcone del palazzo di Saint James un araldo in cotta d’armi proclamerà il suo avvento al trono, e sono sempre bei momenti. Infine, l’ha notato nessuno: interessante che Carlo abbia deciso di regnare con il suo nome. Sua madre, d’accordo, fece lo stesso, ma Edoardo VIII si chiamava in effetti David e Giorgio VI, Albert. Perché Carlo sia stato battezzato così è un mistero, forse l’unico del regno di Elisabetta: non è un nome Hannover poi Sassonia-Coburgo-Gotha e infine (dal 1917) Windsor, insomma della dinastia regnante, ma di quella scozzese cui scippò il trono, gli Stuart. A loro non portò bene: fra Carlo I, decapitato da Cromwell, e Carlo II si perpetrò l’unico periodo repubblicano della storia britannica, e lasciò pessimi ricordi. Ma per far sì che il Regno resti Unito, Scozia compresa, forse prendere un nome scozzese non è una cattiva idea.

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