Tu quoque, Bachelet

La Cina furiosa per un report che mette fine alla propaganda (forse)

Giulia Pompili

Un rapporto che sembrava non dovesse uscire mai. Le pressioni di Pechino e la pubblicazione last minute. L'Onu ha tradito Pechino

Pochi minuti prima della mezzanotte di ieri, cioè del momento in cui l’ex presidente del Cile Michelle Bachelet terminava il suo mandato da Alto Commissario Onu per i diritti umani, è stato pubblicato l’atteso rapporto delle Nazioni Unite sulle violazioni da parte della Cina nella regione autonoma dello Xinjiang. Il report, di cui un estratto è stato tradotto in italiano e pubblicato qui, è molto dettagliato e dice che le testimonianze dei sopravvissuti ai campi “di rieducazione”, le analisi dei think tank, i reportage e le inchieste giornalistiche pubblicate dal 2017 a oggi sul trattamento delle minoranze musulmane ed etniche da parte di Pechino “sono credibili”. Non solo: l’Onu dice che tutto quello che sta succedendo nello Xinjiang può configurarsi come un crimine contro l’umanità. E c’è da capire perché la Cina guidata da Xi Jinping, che ha fatto dello Xinjiang uno dei temi più sensibili della sua leadership, non voleva che questo rapporto fosse pubblicato. Dopo anni di attesa, lo scorso maggio era stata autorizzata una visita di Bachelet nella regione autonoma, e l’Alto commissario aveva promesso che avrebbe pubblicato il rapporto finale sulla sua indagine “entro la fine del suo mandato”. Eppure il documento non arrivava, e fino a qualche giorno fa sembrava non dovesse arrivare mai: troppo forti le pressioni di Pechino, troppo potente la Cina all’interno delle Nazioni unite. E invece eccolo: in 46 pagine l’agenzia dell’Onu che si occupa dei diritti umani smentisce ufficialmente tutta la propaganda ossessiva dei media e dei funzionari cinesi, dei supporter di Pechino che per anni hanno sostenuto che le parole dei testimoni e i risultati delle inchieste fossero solo “bugie occidentali”, un modo per “la coalizione a guida americana” di mettere in cattiva luce la grande potenza cinese. 


E’ importante che sia l’Onu a dirlo, perché Pechino ha investito moltissimo sulla legittimità delle Nazioni unite, sul multilateralismo e sulla cooperazione sovranazionale “con caratteristiche cinesi” da esercitare attraverso l’Onu. Da anni emergono elementi per considerare la Cina fin troppo potente nelle singole agenzie, grazie a cospicui finanziamenti ha ottenuto ruoli chiave nelle diverse agenzie (e anche durante la pandemia si è parlato spesso del suo ruolo d’influenza dentro all’Oms). Ora che si ritrova accusata direttamente dall’Onu, i funzionari cinesi sono costretti a contraddirsi in modo piuttosto grossolano: “Questa cosiddetta valutazione è orchestrata e prodotta dagli Stati Uniti e da alcune forze occidentali ed è completamente illegale, nulla e non valida”, ha detto ieri il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino Wang Wenbin. Il primo aprile scorso il leader Xi Jinping aveva detto che l’ordine internazionale può essere ristabilito solo “con l’Onu al centro”: però solo quando parla bene della Cina. 


E’ passato un anno da quando sul Blog di Beppe Grillo è comparso un appello “che presenta la questione dello Xinjiang in maniera sistematica ed equilibrata”, firmato pure dall’allora presidente della Commissione esteri del Senato, Vito Petrocelli,  che invitava il pubblico italiano a informarsi lì e “in modo meno fazioso e pretestuoso rispetto alle accuse provenienti dai paesi del Five Eyes, dell’Ue e da alcune ong e think-tank”. Indimenticabili anche i viaggi dell’ex sottosegretario della Lega Michele Geraci nello Xinjiang per contestare “le frottole” che circolano  attraverso “video che non vedrete mai sui nostri ‘giornali’”. Adesso, però,  l’Onu ha fatto un’indagine e dice che quella provincia è davvero una prigione, che i sostenitori della Cina fanno propaganda, e che alle vittime bisogna credere. Quante prove bisogna avere per smentire la propaganda?

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.