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sei mesi di guerra

Da periferia a centro dell’Europa, l’Ucraina si è trasformata per sempre

Anna Zafesova

Sono passati sei mesi dall’inizio dell'invasione russa. La guerra continua, molto è cambiato nella percezione del paese che non è più un paesino sperduto nelle steppe postsovietiche, povero, corrotto e governato da un comico

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E’ ancora inverno, un 24 febbraio che non finisce mai. Sono molti gli ucraini che raccontano  questa sensazione di un grande freddo e di un buio interminabile, e il cambio degli armadi è arrivato quasi come una sorpresa, quasi controvoglia, quasi come se non potessero  esserci sole e gioia sotto le bombe. Da sei mesi, gli ucraini stanno vivendo un’esperienza che nell’Europa della storia finita sembrava essere relegata ormai ai film. Bombardamenti e sirene degli allarmi aerei. Fosse comuni e profughi che prendono d’assalto i treni. Torture, stupri e saccheggi di civili. Città che sopravvivono soltanto come un cumulo di macerie.

 

Dopo sei mesi di guerra, un’intera nazione sa distinguere infallibilmente la deflagrazione dei razzi multipli dai botti dell’antiaerea, conosce tutti i tipi dei rivestimenti dei giubbotti antiproiettile e parla con disinvoltura dei “prilyoty”, gli “arrivi”, l’eufemismo per gli attacchi di bombe, missili e mortai che colpiscono il territorio dell’Ucraina, in decine e centinaia di attacchi al giorno. Un inverno infinito, e Volodymyr Zelensky ieri ha firmato una legge che obbliga a fornire di rifugi antibomba ogni nuovo edificio eretto d’ora in poi in Ucraina. In sei mesi, l’unica nazione postsovietica – tranne i Baltici entrati nell’Ue – a essere rimasta per tutti i 31 anni della indipendenza da Mosca una democrazia – è diventata un campo militare.

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Un milione di donne e uomini sotto le armi, 10 milioni di profughi, almeno 9 mila caduti militari e decine di migliaia di vittime civili. La portata di questo choc nazionale si misurerà – se si può misurare quello che oggi sembra un abisso senza fondo – nei decenni successivi, in uno choc traumatico che ha colpito decine di milioni di persone. Sono molti gli esperti di Kyiv che danno per certa la trasformazione dell’Ucraina in una sorta di Israele: una democrazia militarizzata sotto perenne minaccia, che erige sempre più in alto il suo muro con il nemico a est per far durare più a lungo le prospettive di una pace che sarà inevitabilmente a intermittenza.

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Ma “basta piagnucolare”, avverte nel suo editoriale il cronista militare del Kyiv Independent Illia Ponomarenko, il giornalista ucraino che ha anticipato tante svolte del conflitto, a cominciare dagli attacchi ai ponti di Kherson. L’invasione russa è – è stata e sarà ancora – una tragedia terribile, ma ha fatto scoprire al mondo che l’Ucraina non era un paesino sperduto nelle steppe postsovietiche, povero, corrotto e governato da un comico. Idea che fino al 24 febbraio era condivisa anche da potenti del mondo come Donald Trump. Oggi, il blu e giallo della bandiera ucraina colorano tutto il mondo, dal numero 10 di Downing Street ai braccialetti di perline dei ragazzini, e Volodymyr Zelensky è il leader più famoso e carismatico a livello internazionale. La sua frase “non ho bisogno di un passaggio, ma di munizioni”, rivolta agli occidentali che gli offrivano un comodo governo in esilio, non solo è finita su migliaia di t-shirt, ma ha ridestato l’Unione europea, dandole una missione e una consapevolezza dei suoi valori. 


Sei mesi dopo l’inizio della guerra, mentre diventa chiaro che la Russia non riuscirà a vincere, la fine dell’inverno appare meno lontana, e la primavera vedrà emergere in Europa un paese devastato dalla guerra, ma anche dotato del più potente esercito del continente, e forte di una leadership che già oggi promette che deciderà la riconquista della Crimea “senza consultarsi con nessuno”. “O ci aiutate, o toglietevi di mezzo”, riassume così la nuova assertività ucraina Ponomarenko, e Kyiv si sente già il centro intorno al quale orbiterà la “nuova” Europa uscita dall’ombra del Cremlino.

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