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Gli ultimi minuti dell’ambasciata francese in Afghanistan nel libro di Martinon

Mauro Zanon

È stato l’ultimo a partire, fino alla fine ha organizzato le operazioni di evacuazione allestendo un ponte aereo verso Parigi. Il suo passato sarkozysta non lo ha sempre aiutato, anzi. Ma la parentesi afghana lo ha promosso tra i grandi della diplomazia francese

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Parigi. David Martinon è stato l’ultimo a partire. Assieme alla sua cerchia ristretta di diplomatici dell’ambasciata di Francia a Kabul, ai militari e agli uomini del Raid, i corpi dell’élite di intervento rapido della Police nationale. Hanno aspettato il 27 agosto 2021, il giorno dopo il terribile attentato dello Stato islamico all’aeroporto di Kabul, prima di abbandonare l’Afghanistan ormai in balìa dei talebani. Fino all’ultimo Martinon, ambasciatore francese a Kabul dal 2018, dopo essere stato console di Francia a Los Angeles, ha organizzato le operazioni di evacuazione allestendo un ponte aereo verso Parigi con uno scalo ad Abu Dhabi.

  

Da quando la situazione in Afghanistan è precipitata, sono stati evacuati un centinaio di francesi e più di 2.800 afghani, la maggior parte dei quali lavorava con l’ambasciata di Francia. “Alle 11:25, il mio amico ambasciatore Stefano Pontecorvo, alto rappresentante civile della Nato in Afghanistan mi chiama: ‘Parti subito. Vai all’aeroporto. Tremila talebani avanzano verso Kabul, sono a venti minuti’”, ricorda David Martinon nel libro Les quinze jours qui ont fait basculer Kaboul (Éditions de l’Observatoire), racconto palpitante, minuto per minuto, dei quindici giorni che hanno fatto cadere l’Afghanistan nelle mani dei talebani. “Stefano Pontecorvo mi richiama e mi esorta a privilegiare un’uscita dalla ‘green zone’ via elicottero (…). Istruito dall’esperienza, indosso degli occhiali da sole per piloti per evitare di essere accecato dalla polvere afghana che, sollevata dalle eliche, si posa sui miei occhi e su quelli delle persone che mi stanno vicino. Filmo la nostra partenza per attestare la nostra posizione. Decolliamo alle 18:46”, scrive il diplomatico francese.

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E’ il 15 agosto 2021, giorno della presa di Kabul da parte dei talebani, quando decide di pubblicare su Twitter il video della sua uscita dalla zona verde. Per quel filmato, è stato molto criticato all’epoca: per la “messa in scena”, per i suoi modi da Tom Cruise in Top Gun. “Maldestro”, ha commentato a Libération un diplomatico del Quai d’Orsay, sede del ministero degli Esteri. C’è anche chi ha giudicato esorbitante il suo stipendio, 30 mila euro, più del presidente della Repubblica, Emmanuel Macron, perché ci sono i cosiddetti “primes de risque” che fanno lievitare la busta paga. Ma c’è anche chi ricorda ai professionisti della critica facile seduti dietro la loro comoda scrivania parigina che quel posto non è per tutti.

 

“Con l’ultimo gruppo di afghani che facciamo salire con noi, l’operazione si conclude. Abbiamo permesso l’evacuazione di 2.805 persone dalla notte del 17 agosto: 1.005 bambini, 851 donne e 949 uomini. Decolliamo da Hamid Karzai International Airport il 27 agosto 2021, lasciando i paracadutisti finire il loro lavoro a Kabul: ritirarsi dall’aeroporto prima del primo settembre senza perdite. Talvolta, in diplomazia, gli sforzi consentono di ritardare una fine ineluttabile. E il nostro lavoro è quello di ricominciare. In Afghanistan, le potenze subiscono la punizione di Sisifo. Per eccesso di benevolenza e di generosità, o per sanzionare la loro hubris”, scrive David Martinon. Formatosi a Sciences Po e all’Ena, Martinon è stato chiamato a 27 anni alla corte di Hubert Védrine al ministero degli Esteri, prima di diventare un “Sarko boy” (è stato il consigliere diplomatico di Nicolas Sarkozy nonché suo portavoce della campagna presidenziale del 2007). Il suo passato sarkozysta non lo ha sempre aiutato, anzi. Ma la parentesi afghana lo ha promosso senza dubbio tra le grandi figure della tradizione diplomatica francese. 
 

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