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cosa succede in america

Le perquisizioni dell'Fbi nella casa di Trump radicalizzano lo scontro negli Stati Uniti

Stefano Pistolini

Il mandato firmato dal dipartimento di Giustizia ha scatenato repubblicani e non. È una mossa quantomeno esplosiva ed è sicuramente un motore per la campagna pubblicitaria dell'ex presidente 

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Persecuzione o rivelazione? L’America – sia quella degli scranni di Washington sia quella della strada – ha reagito con sgomento alla notizia del raid dell’Fbi nella residenza di Donald Trump in Florida, alla ricerca di documenti di cui il presidente sarebbe impropriamente ancora in possesso. Ma la vera questione è: cosa c’è sotto? Questa storia va letta come un altro step nell’affondo dei suoi avversari politici in posizioni di comando, teso a delegittimare in ogni modo possibile le ambizioni per la Casa Bianca 2024 da parte del trionfatore del 2016? Oppure la verità è più complessa e contiene un tasso di gravità tale da autorizzare l’operazione, a dispetto dell’indignazione che avrebbe sollevato?

 

Chiarire l’effettiva intenzione del Dipartimento di Giustizia è l’unico antidoto che possa indurre pacificazione laddove si stanno sollevando perplessità nell’opinione pubblica e rabbia caotica tra i fedelissimi dell’ex-presidente. Intanto emergono particolari sul raid, che ha avuto luogo sia nella residenza sia nel golf club di Trump in Florida, effettuato da una trentina di agenti dotati del mandato di perquisizione emesso da Bruce Reinhart magistrato di West Palm Beach e personalità rispettata nei circoli legali della contea. I federali, al momento di dare inizio all’operazione, ne hanno dato notizia a Eric Trump, figlio di Donald, col padre in questi giorni a Manhattan, dove Trump affronta la causa civile per frode fiscale intentatagli dallo stato di New York (Trump è stato interrogato oggi pomeriggio, si è rifiutato di rispondere alle domande invocando il V emendamento, dopo che la sua deposizione era stata rinviata per la morte dell’ex moglie Ivana. Gli inquirenti hanno già ascoltato altri due suoi figli, Donald jr. e Ivanka).

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A Mar-a-Lago comunque non ci sono state porte sfondate o serrature divelte, perché il servizio di sicurezza di Trump era stato allertato e uno dei suoi avvocati ha assistito alla perquisizione. Al termine di ore di ricerche, gli agenti se ne sono andati con una dozzina di scatoloni pieni di documenti. E poco dopo, scatenati dai vibranti messaggi di Trump, dozzine di ultrà hanno inscenato una manifestazione all’ingresso del golf club, le cui immagini, diffuse dai telegiornali nazionali, hanno innescato la miccia delle proteste.

 

È pur vero che a nessun presidente è stato mai riservato un simile trattamento e non c’è voluto molto che su entrambi i fronti si sia cominciato a dire che non poteva essere solo una questione di mancata consegna di documenti agli archivi di stato. Ci dev’essere qualcosa di più grosso e il responsabile della Giustizia Garland non può far passare troppo tempo prima di chiarirlo all’opinione pubblica. Perché l’episodio è un lampante motore di radicalizzazione dello scontro, prova ne sia che immediatamente, tanto le organizzazioni trumpiane che quelle attive allo scopo d’impedire un suo ritorno, ne hanno approfittato per bombardare i seguaci con richieste di finanziamento e donazioni.

 

In questo scenario di guerra aperta, tra gli esperti prende corpo la convinzione che l’Fbi non possa aver intrapreso una mossa così spericolata senza basarsi su una possibile violazione penale. E che sia il Dipartimento di Giustizia, sia il giudice locale, non avrebbero concesso un mandato di perquisizione tanto politicamente esplosivo. Ma l’unica altra persona che sappia veramente come stanno le cose, al momento è ovviamente Donald Trump. E a lui adesso conviene cavalcare l’onda del vittimismo. Una simile campagna pubblicitaria della propria candidatura, per di più a costo zero, sarebbe stata impossibile da inventare.

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