L'eredità di Shinzo Abe

La Chiesa dell'unificazione e le indagini sull'attentato di venerdì scorso

Giulia Pompili

Il primo ministro giapponese, Fumio Kishida, annuncia di voler tentare la riforma della Costituzione pacifista. Le elezioni di domenica hanno fatto raggiungere la supermaggioranza alla coalizione al governo. È davvero la finestra per "normalizzare" le Forze armate?

Due giorni dopo l’assassinio dell’ex primo ministro Shinzo Abe, i giapponesi sono andati al voto e hanno dato ancora più fiducia alla coalizione di governo. L’attentato che ha ucciso Abe venerdì scorso potrebbe aver influenzato il risultato delle elezioni di parte della Camera alta della Dieta, il Parlamento giapponese, sebbene la vittoria dei conservatori e dei partiti di coalizione era abbastanza scontata, così come il leggero aumento dell’affluenza (+2 per cento rispetto alle stesse elezioni del 2019). Ma al di là delle conseguenze dello choc collettivo che è stata la morte improvvisa di uno dei leader più conosciuti del Giappone, quel che conta adesso è l’eredità politica di Shinzo Abe e la finestra di opportunità per le riforme consegnata nelle mani dell’attuale primo ministro Fumio Kishida. 

 

   

 I liberaldemocratici, il partito Komeito e le altre formazioni alleate hanno ottenuto 87 seggi alla Camera alta, superando il 70 per cento del totale. La coalizione di governo  ha una supermaggioranza simile anche alla Camera bassa. E infatti Kishida è andato in conferenza stampa dalla sede del Partito e ha detto che la situazione è difficile – “la più difficile dal Dopoguerra”, riferendosi anche alla tensione internazionale – che lavorerà per l’unità della coalizione e, soprattutto: “Manterrò vivo il pensiero dell’ex primo ministro Abe e affronterò questioni complicate come la modifica della Costituzione”. Per la prima volta Kishida ha fatto menzione diretta di una riforma su cui il Partito liberal democratico e le sue correnti più a destra lavorano da anni, ma che di fatto non è mai riuscita a passare neanche la fase preliminare. E’ la modifica dell’articolo 9 della Costituzione giapponese, scritta dagli americani nel Dopoguerra, che impone al Giappone di avere soltanto delle Forze di autodifesa e non delle Forze armate regolari. Negli anni, soprattutto con Shinzo Abe dopo il 2014, diverse interpretazioni ed emendamenti avevano aiutato il governo di Tokyo a essere più elastico nell’applicazione del dettato costituzionale, permettendo per esempio ad alcune truppe di fare missioni di peacekeeping e di supporto all’estero, ma le Forze armate giapponesi sin dalla fine dell’Impero non potrebbero tecnicamente operare se non è attaccato direttamente il suolo nipponico. La supermaggioranza potrebbe far superare l’ostacolo del voto alla Dieta, ma il problema resta la rigidità costituzionale della Carta giapponese pacifista e il fatto che qualunque modifica debba essere sottoposta, in ultima fase, a referendum popolare. E l’opinione pubblica giapponese è sempre stata contraria alla riforma dell’articolo 9. La sfida più grande per Kishida, se vuole davvero arrivare a dare forma all’obiettivo politico mai raggiunto dal suo mentore Abe, è convincere l’opinione pubblica. L’attuale primo ministro, del resto, è considerato un centrista rispetto ad Abe, e soprattutto non ha quel bagaglio familiare e di vicinanza all’estrema destra e al nazionalismo che rendevano  Abe un leader estremamente divisivo e mal tollerato da Cina e Corea. 

 

E’ molto potente il messaggio che il governo giapponese sta facendo passare di un processo democratico che non si ferma, nonostante tutto. Poche ore dopo la conferenza stampa di Kishida e dei membri del suo esecutivo, a pochi chilometri dalla sede del Partito liberal democratico, nel tempio buddista Zojoji di Tokyo, si teneva la veglia funebre per Shinzo Abe. 

 


Secondo la tradizione giapponese per cui “si nasce scintoisti, si vive cristiani e si muore buddisti”, Abe ha ricevuto una cerimonia buddista alla quale hanno partecipato la vedova, Akie Abe, il fratello di Shinzo Abe, Nobuo Kishi, attuale ministro della Difesa, e molti dignitari stranieri tra cui  il segretario di stato americano Antony Blinken, che ha detto di essere volato in Giappone perché “siamo amici e quando un amico soffre, l’altro amico si fa vivo”, e ha parlato di Abe come di un politico “con una visione” che “ha fatto più di chiunque altro per elevare le relazioni tra Stati Uniti e Giappone a nuovi livelli”. La commemorazione pubblica per i cittadini ci sarà più avanti. 

 


Nel frattempo vanno avanti le indagini sul sospettato dell’omicidio di Abe, Tetsuya Yamagami, che avrebbe dichiarato alla polizia di aver preso di mira il politico perché riteneva che avesse legami con un gruppo religioso che avrebbe mandato in bancarotta sua madre. Secondo le ricostruzioni della stampa, il gruppo religioso in questione sarebbe quella che un tempo si chiamava la  Chiesa dell’unificazione, fondata dal reverendo Sun Myung Moon nel 1954. La sezione giapponese della chiesa ha fatto una conferenza stampa per confermare l’appartenenza alla chiesa della madre di  Tetsuya Yamagami, smentendo di aver mai domandato soldi in modo obbligatorio – ma confermando implicitamente le donazioni che sono richieste ai fedeli. Di certo l’ex primo ministro non ha mai aderito al culto di Moon, ma il legame tra Shinzo Abe e la Chiesa dell’unificazione, secondo l’uomo che ha premuto il grilletto, riguarda piuttosto il sostegno politico che per decenni la destra –  in Asia e in America, sin dai tempi di Nixon – ha assicurato alla chiesa, influente sia economicamente sia politicamente. Lo scorso anno, all’annuale convention della Chiesa dell’unificazione, avevano partecipato sia Shinzo Abe sia Donald Trump. Il processo sulla morte di Shinzo Abe rischia di diventare un processo anche alla chiesa. 
 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.