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Il sabotatore Orbán ottiene l’esenzione per l’oleodotto nell’embargo del petrolio

David Carretta

Il pasticcio sul sesto pacchetto di sanzioni fa emergere tutti i limiti dell’Unione europea

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Bruxelles. Viktor Orbán sta per ottenere quello che vuole nei negoziati con l’Unione europea sul sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia: l’esenzione dall’embargo del petrolio dell’oleodotto Druzhba, che trasporta il greggio russo nelle raffinerie dell’Ungheria. E’ questa la soluzione che il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, sta negoziando con gli altri leader per uscire dallo stallo che dura da oltre tre settimane sul sesto pacchetto di sanzioni ed evitare che il vertice dei capi di stato e di governo di lunedì si trasformi in un grande bazar. L’obiettivo è mostrare che l’Ue rimane determinata a punire Vladimir Putin per la sua guerra contro l’Ucraina e continuare a proiettare l’immagine di unità dell’Ue sulle sanzioni. “Continueremo a mettere pressione sulla Russia. La nostra unità è sempre stata il nostro asset più forte” e “rimane il nostro principio guida”, ha scritto Michel nella lettera di invito ai leader. Nelle sue intenzioni, l’esenzione di Druzhba dovrebbe essere temporanea, giusto il tempo necessario a fare in modo che la Commissione e Orbán trovino una soluzione tecnica sui finanziamenti per la ristrutturazione dell’infrastruttura petrolifera dell’Ungheria. Ma non c’è certezza che un accordo politico si concretizzi poi in una norma giuridica che costringa Budapest ad applicare l’embargo (in ogni caso molto più tardi di tutti gli altri). Soprattutto, c’è un doppio prezzo politico da pagare per preservare la facciata di unità.  L’Ue si appresta a ricompensare il ricatto del sabotatore Orbán. 

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Bruxelles. Viktor Orbán sta per ottenere quello che vuole nei negoziati con l’Unione europea sul sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia: l’esenzione dall’embargo del petrolio dell’oleodotto Druzhba, che trasporta il greggio russo nelle raffinerie dell’Ungheria. E’ questa la soluzione che il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, sta negoziando con gli altri leader per uscire dallo stallo che dura da oltre tre settimane sul sesto pacchetto di sanzioni ed evitare che il vertice dei capi di stato e di governo di lunedì si trasformi in un grande bazar. L’obiettivo è mostrare che l’Ue rimane determinata a punire Vladimir Putin per la sua guerra contro l’Ucraina e continuare a proiettare l’immagine di unità dell’Ue sulle sanzioni. “Continueremo a mettere pressione sulla Russia. La nostra unità è sempre stata il nostro asset più forte” e “rimane il nostro principio guida”, ha scritto Michel nella lettera di invito ai leader. Nelle sue intenzioni, l’esenzione di Druzhba dovrebbe essere temporanea, giusto il tempo necessario a fare in modo che la Commissione e Orbán trovino una soluzione tecnica sui finanziamenti per la ristrutturazione dell’infrastruttura petrolifera dell’Ungheria. Ma non c’è certezza che un accordo politico si concretizzi poi in una norma giuridica che costringa Budapest ad applicare l’embargo (in ogni caso molto più tardi di tutti gli altri). Soprattutto, c’è un doppio prezzo politico da pagare per preservare la facciata di unità.  L’Ue si appresta a ricompensare il ricatto del sabotatore Orbán. 

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Il presidente ungherese, mentre Michel negoziava a suo vantaggio, ieri si è permesso di andare a Parigi a incontrare Marine Le Pen per criticare “la politica di sanzioni sbagliate di Bruxelles”. Così facendo, incoraggerà l’emergere di altri Orbán, che chiederanno deroghe ed esenzioni a ogni prossimo pacchetto di sanzioni contro la Russia. In realtà, uno c’è già. Anche la Germania può approfittare dell’esclusione dell’oleodotto Druzhba, dato che alimenta una raffineria di proprietà di Rosneft a Schwedt, nell’est del paese, che fornisce di benzina e gasolio Berlino e tutta la regione attorno alla capitale.

Il pasticcio sull’embargo del petrolio ha origine dentro gli uffici della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. E’ lì che è stata preparata la proposta del sesto pacchetto di sanzioni tra fine aprile e inizio maggio. In una serie di incontri bilaterali con gli ambasciatori degli stati membri, la squadra di von der Leyen ha chiesto linee rosse e condizioni per accettare l’embargo del petrolio. Diversi stati membri, ma anche l’Amministrazione Biden, avevano avanzato proposte alternative, come l’imposizione di un tetto o di un dazio sul petrolio importato. L’Ungheria aveva subito segnalato le sue obiezioni per la propria dipendenza totale dal greggio russo. Grecia e Cipro avevano indicato problemi sulle misure restrittive contro le navi europee che trasportano il petrolio russo. Ma la Commissione ha comunque scelto di andare avanti e ritagliare l’embargo su misura della Germania, con un periodo transitorio fino alla fine dell’anno per uscire dal petrolio russo (lo stesso calendario già annunciato dal governo di Olaf Scholz). Il ricordo di Bucha era ancora vivo e si avvicinava la parata della vittoria di Putin del 9 maggio. Così, il 4 maggio, von der Leyen si è presentata al Parlamento europeo per annunciare “un divieto totale di importazione su tutto il petrolio russo, via mare e oleodotto, greggio e raffinato”. La presidente della Commissione in quell’occasione non lo ha detto pubblicamente, ma la sua proposta conteneva già una prima concessione a Orbán: un anno in più degli altri stati  per uscire dal petrolio russo. La risposta di Orbán è stata “nem”. “No”. 

La stessa risposta negativa è arrivata da Orbán nelle tre settimane successive, quando l’Ue ha offerto due anni in più all’Ungheria per rinunciare al petrolio e un pacchetto di aiuti finanziari da diverse centinaia di milioni di euro. La Commissione aveva assicurato agli altri governi che una soluzione sarebbe stata trovata con il piano energetico RepowerEu, perché una parte dei finanziamenti è destinata all’Ungheria per ristrutturare oleodotti e raffinerie. Ma i soldi devono transitare dai piani nazionali di ripresa e resilienza e quello dell’Ungheria non è stato ancora approvato per i problemi sullo stato di diritto. Senza garanzie di ricevere rapidamente i fondi, Orbán non ha tolto il veto. A Michel non è rimasto che prendere il posto di von der Leyen nei negoziati e andare incontro alle richieste del premier ungherese. L’11 maggio, quando la presidente della Commissione era volata a Budapest per tentare di rimediare al pasticcio iniziale, il governo Orbán aveva  detto chiaramente quale fosse la sua condizione per dare il via libera al pacchetto di sanzioni: l’embargo deve essere applicato solo al petrolio via mare, senza toccare l’oleodotto Druzhba che alimenta le sue raffinerie.

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La speranza di Michel e altri è che, approvato il sesto pacchetto, il mondo si ricordi della decisione storica dell’Ue sull’embargo del petrolio e non delle deroghe per l’Ungheria e altri. In fondo, nel pacchetto ci sono anche altre misure importanti: l’esclusione di Sberbank e altre due banche da Swift, il divieto di assicurare petroliere che trasportano greggio russo, il bando dall’Ue per alcune televisioni del Cremlino, un altro centinaio di oligarchi e funzionari nella lista nera. Tuttavia – spiega al Foglio un diplomatico europeo – alcuni stati membri “sono irritati” per il modo in cui la Commissione ha “mal preparato e mal prenegoziato” il sesto pacchetto. Su richiesta di Grecia e Cipro, un’altra misura è stata stralciata: il divieto per le navi europee di trasportare petrolio russo. Sia von der Leyen sia Michel si sono rifiutati di considerare tutte le alternative all’embargo, come il tetto sul prezzo del petrolio, perché la Germania ha paura di vedersi chiudere i rubinetti all’improvviso. Nello scenario sempre più probabile di una guerra lunga in Ucraina, il sesto pacchetto di sanzioni dimostra che c’è un limite a quanto l’Ue è in grado di fare per punire Putin.

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