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cosa succede in ucraina

Così Mosca vuole russificare l'Ucraina occupata

Micol Flammini

I maxischermi per la propaganda russa e le scuole d’estate per levare l’accento ucraino a Mariupol. L’esempio di una città fantasma e il trattamento da parte del Cremlino che è sempre lo stesso: le vite umane non contano

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Il vicepremier russo, Marat Khusnullin, è andato a Kherson, la prima regione ucraina a cadere in mani russe, e ha promesso che la Russia ricostruirà tutto: ponti, strade, edifici. Ha detto che non c’è da avere paura, che Kherson non sarà un’area di second’ordine, rifiorirà. Nella regione è stato introdotto il rublo, c’è internet e funziona benissimo la tv russa, per il resto, la distruzione rimane e anzi c’è un rischio alto di fame perché le scorte di grano  e anche i macchinari agricoli di Kherson vengono spediti in Russia e in Crimea. Al momento la ricostruzione non si vede, si vede soltanto la povertà. A Mariupol la situazione è peggiore, mancano le medicine per curare le persone rimaste nella città portuale durante l’assedio durato quasi tre mesi, manca il cibo, manca l’acqua e manca l’elettricità, ma sono arrivati i maxischermi che trasmettono la propaganda. Mariupol è in condizioni peggiori rispetto a Kherson, dove la propaganda arriva direttamente nelle tv e nelle radio di chi è rimasto. A Mariupol la propaganda arriva in strada su dei camion che si fermano nelle piazze tra le macerie e mostrano il Primo canale della tv russa. I maxischermi arrivano dalla Russia, sono collegati a generatori e mostrano i propagandisti che parlano di denazificazione, proiettano il regista Nikita Mikhalkov che snocciola le colpe dell’Ucraina che si è allontanata dalla Russia e ha cresciuto le nuove generazioni nell’odio per Mosca, e chiede la creazione di un premio Oscar alternativo, che sia patriottico, non occidentalizzato e religioso.

 

Poi ci sono i notiziari che propongono le atrocità commesse dai soldati di Kyiv e mostrano quelli di Mosca che aiutano, liberano, soccorrono. I cittadini di Mariupol che spesso non hanno casa, è stata distrutta durante i bombardamenti o è pericolante, trascorrono molto tempo in strada: guardano. C’è chi piange, chi scuote la testa e chi annuisce. E’ un processo di russificazione doloroso per chi è rimasto, ma che i russi intendono portare avanti. A Kherson inizieranno presto a distribuire passaporti, potrebbero farlo anche a Mariupol e prima dell’annessione politica hanno iniziato quella culturale.  Petro Andryushenko, il consigliere del sindaco legittimo di Mariupol, ha detto che i russi hanno deciso di prolungare l’anno scolastico. Non ci saranno interruzioni, andrà avanti fino alla fine dell’estate. Per deucranizzare e russificare ci vuole tempo  e per l’inizio del nuovo anno scolastico, il primo settembre, gli studenti devono essere pronti per il programma russo. Mariupol inoltre è una città russofona, ma  gli occupanti credono che ci sia del lavoro da fare anche sulla lingua: gli studenti devono perdere l’accento ucraino. 

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I russi vorrebbero anche aprire altre scuole, almeno nove e gli insegnanti arriveranno dalla Russia. Ci vorrà del tempo perché non soltanto Mosca sta mettendo mano ai programmi scolastici locali, ma sta controllando le biblioteche cittadine, quel che ne è rimasto,  e se ne stanno  occupando i separatisti filorussi dell’oblast di Donetsk, che da anni recepiscono e condividono la propaganda del Cremlino e i programmi scolastici pieni di un patriottismo militarista. I libri sotto accusa sono soprattutto quelli sulla storia dell’Ucraina e quelli in ucraino: sono ritenuti estremisti. Gli occupanti provano ad abbattere un pezzo di identità ucraina alla volta e tanto va veloce il  processo  di russificazione   tanto è immobile quello di ricostruzione. Non sono iniziati i lavori per riparare  le strade, i palazzi, per far funzionare l’elettricità, gli abitanti di Mariupol, città in cui sono morte circa 22 mila persone, vivono in condizioni di povertà estrema, le autorità parlano anche di problemi sanitari, i cittadini vendono per le strade quello che trovano nelle case distrutte o quello di cui sono rimasti in possesso: pentole, pannolini, vestiti, caricatori da attaccare in nessun posto per collegarsi alla corrente che non c’è. La Crimea, occupata dalla Russia nel 2014, ha già conosciuto una parabola simile, la Russia è arrivata e ha portato più povertà e questa povertà ha avuto un costo anche per i russi. 

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Nei giorni scorsi i cittadini della regione russa di Kursk, al confine con l’Ucraina, hanno scritto una petizione su VKontakte, il social russo molto simile a Facebook, in cui si lamentano di vivere in condizioni di insicurezza   dall’inizio della guerra. Nella petizione elencano gli attacchi compiuti dagli ucraini nel loro territorio – Kyiv non ha mai rivendicato gli sconfinamenti, ma alcuni sono talmente precisi e colpiscono obiettivi talmente strategici per i russi che è  difficile pensare altrimenti – e dicono che aumentano, che la gente rischia la vita, e che nessuno se ne occupa. Non il governatore locale, non il governo. Non fanno il nome di Putin. Chiedono la creazione di una zona cuscinetto, che li protegga dagli attacchi: Kursk è una delle regioni usate come basi per rifornire l’esercito. 

 

Delle oblast di confine, proprio come Kursk, a Mosca si parla, ma non tanto per aumentare la sicurezza, quanto per usare gli attacchi al territorio come pretesto per una mobilitazione generale nell’area: servono nuovi soldati se si vogliono mantenere i territori conquistati. I cittadini  chiedono protezione e potrebbero invece  ricevere più guerra. Siano russi nuovi da russificare o siano russi da sempre, il trattamento da parte del Cremlino è sempre lo stesso: le vite umane non contano. 

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