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cronaca da Severodonetsk

Gli elicotteri russi sorvolano i cieli del Donbas. La paura più buia sono le spie

Cecilia Sala

Gli infiltrati dei russi si confondono nella popolazione e passano informazioni vitali alle forze di Mosca. La storia di Alex, che dormiva accanto a un informatore senza saperlo

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Kramatorsk, Donbas. Severodonetsk è circondata dalle ciminiere ed è la città sotto il controllo ucraino più a est del Donbas. Prima della guerra aveva circa la popolazione di Ferrara, poco più di centoventimila abitanti. E’ una città operaia che si è impoverita rapidamente dopo il 2014, quando la guerra con i separatisti ha fermato gli investimenti e più che dimezzato la produttività delle fabbriche. Ora è semideserta, l’elettricità e l’acqua corrente in alcuni quartieri non ci sono e in altri funzionano a intermittenza, chi è rimasto dipende dai pacchi alimentari che la polizia porta ogni mattina insieme ai generatori a cui ci si può attaccare a turno per una decina di minuti.

 

Qui, nell’ultima settimana, sono comparsi due elicotteri russi che si muovono sulla città nella notte e il principale centro di smistamento degli aiuti è stato colpito. “Quei pacchi sono la cosa più importante al mondo per chiunque sia rimasto: chi ha fatto una cosa del genere deve pagare”, dice Veronika prima di tornare nel bunker. Non si riferisce ai russi, ma a qualcuno che vive in Ucraina e che ha passato le coordinate. Il centro era ben nascosto e ben protetto, i residenti della zona e i poliziotti del comandante Oleh Hryhorov sono convinti che senza un infiltrato sul campo per i soldati di Putin sarebbe stato  difficile scoprirlo. Il nuovo centro di smistamento si trova in un sotterraneo alla periferia della città ed è protetto dai militari.

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Tra i volontari c’è un ragazzo di diciotto anni che si chiama Alex, è magro, timido e ha la frangia bionda: è bravo con i computer e sta lavorando a un’app per tenere sempre aggiornato un database delle distribuzioni effettuate, delle richieste e delle lamentele. Alex è figlio di operai metalmeccanici e viene da Rubizhne, un sobborgo a nord di Severodonetsk che i russi hanno distrutto e poi occupato. Lui è salvo ma l’operazione per evacuarlo si è trasformata in una trappola per i soldati ucraini. Alex non ha ancora superato il trauma e il senso di colpa.

 

Nelle cantine della scuola elementare dove aveva trovato rifugio, l’uomo brizzolato sulla quarantina che dormiva nel cunicolo accanto al suo era una spia russa. A metà marzo a Rubizhne si vive sotto i colpi dell’artiglieria: Alex si trasferisce nei sotterranei con i genitori e il nonno fino a quando un missile finisce nel loro giardino e distrugge parte del tunnel che porta al bunker. Si spostano nella scuola dove le autorità radunano tutti gli sfollati: “Era per noi quello che il teatro comunale è stato per Mariupol, solo in un villaggio molto piccolo”, dice Alex.

 

Allora Rubizhne era ancora sotto il controllo ucraino e occasionalmente i poliziotti o i soldati andavano nella scuola per portare coperte e cibo: in concomitanza, piovevano missili. Alex riesce a mettersi in contatto con il capo dei volontari di Severodonetsk e chiede di essere salvato: tutte le comunicazioni avvengono davanti all’uomo brizzolato sulla quarantina con cui si è ritrovato a convivere. Quell’uomo, la notte dell’esfiltrazione, fa un segnale luminoso nel cortile e quando arrivano i militari i russi si fanno trovare pronti per colpirli. Approfittando del caos, è riuscito a scappare: “Le spie russe sono un problema in tutta l’Ucraina, ma in Donbas sono la priorità”.

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