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Kishida arriva a Roma con un messaggio: Russia e Cina sono uguali

Giulia Pompili

Il primo ministro giapponese incontra il Papa e Draghi, poi vola a Londra. L'attivismo diplomatico 

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“Si chiameranno tra loro Fumio e Mario. Sai, Draghi è molto popolare in Giappone, per via di Super Mario”. La delegazione del Kantei, il palazzo del governo di Tokyo, che accompagna il primo ministro giapponese nella sua visita a Roma ci tiene a sottolineare l’inusuale protocollo di chiamarsi per nome – nella tradizione giapponese soltanto i parenti più stretti usano il nome personale, tutti gli altri usano il cognome. Fumio Kishida, capo del governo di Tokyo dall’autunno del 2021, ieri era  a Roma per incontrare Papa Francesco, il segretario di stato della Santa sede Pietro Parolin e poi il presidente del Consiglio Draghi, ma la visita è stata più diplomatica e politica che operativa. Durante le dichiarazioni alla stampa, Draghi ha ringraziato il Giappone per aver accettato nelle prime fasi della guerra della Russia all’Ucraina e “con straordinaria prontezza” che alcuni carichi di gas naturale liquefatto, destinati ad altri paesi,  fossero reindirizzati verso l’Europa.

 

Non si è parlato, però, di un ulteriore sostegno giapponese alla possibile crisi energetica europea: già prima dell’invasione russa il Giappone, quasi del tutto dipendente dalle importazioni, stava affrontando varie fasi di una crisi energetica che va avanti almeno dal 2011, quando dopo l’incidente dell’impianto di Fukushima furono spente tutte le centrali nucleari (a oggi solo una decina sono state riattivate). Il bilaterale tra Draghi e Kishida è stato soprattutto un messaggio d’unione tra paesi like minded, un’espressione usata di continuo nelle ultime settimane dalla diplomazia per dire: siamo quelli che la pensano allo steso modo, anche se siamo lontani. Per Kishida l’invasione russa dell’Ucraina “mina le fondamenta dell’ordine non soltanto europeo ma internazionale e anche dell’area dell’Indo-pacifico”, e questo nonostante l’unico accordo firmato ieri tra la seconda economia del mondo e il governo italiano – due paesi membri del G7 – sia quello sulle vacanze-lavoro giovanili. 
Nelle ore in cui il primo ministro giapponese incontrava i leader del Vaticano e del governo italiano, da Mosca arrivava un annuncio: il ministero degli Esteri russo ha detto di aver imposto sanzioni contro 63 cittadini giapponesi, tra cui anche il primo ministro Fumio Kishida, il ministro degli Esteri Yoshimasa Hayashi, il ministro della Difesa Nobuo Kishi e il segretario capo di gabinetto Hirokazu Matsuno. A loro sarà vietato l’ingresso in Russia perché colpevoli di aver lanciato una “campagna antirussa senza precedenti con una retorica inaccettabile” contro Mosca.

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Su questo il Cremlino ha ragione: rispetto al 2014, quando l’allora primo ministro Shinzo Abe decise di imporre delle sanzioni piuttosto cosmetiche contro Mosca, Kishida si è allineato quasi completamente con la risposta di America ed Europa. Le sanzioni giapponesi contro i funzionari russi sono ormai quasi allo stesso livello di quelle europee e nel frattempo il governo di Tokyo si è messo alla testa di un intenso lavoro diplomatico per mostrare i pericoli di un mondo governato dai regimi autoritari. 

 

Prima di arrivare a Roma, Kishida e la sua delegazione hanno viaggiato in Indonesia, in Thailandia e in Vietnam. “Questi paesi si preoccupano molto poco della Russia e della guerra in Ucraina, la loro priorità è piuttosto il Mar cinese meridionale e la sua navigabilità”, dice al Foglio una fonte che ha seguito da vicino la missione. Una navigabilità che da più di un decennio è limitata dall’assertività e dalla costante militarizzazione dei passaggi strategici da parte della Cina. Kishida vuole mostrare ai paesi poco convinti come quelli del sud-est asiatico (che finora hanno cercato di rimanere molto neutrali nel conflitto in Ucraina) che la minaccia russa e quella cinese sono più o meno sovrapponibili. Il Giappone è uno dei più esposti al bullismo di Pechino: soltanto tre giorni fa otto navi della Marina cinese, compresa una portaelicotteri e alcuni cacciatorpedinieri, sono passati attraverso l’arcipelago giapponese di Okinawa. A gennaio un’esercitazione navale congiunta tra Russia e Cina si era spinta fino all’attraversamento dello stretto giapponese di Tsushima. Per Tokyo si tratta di una intensificazione dell’addestramento navale cinese, dovuto a motivi ancora poco chiari. Ma Pechino non è il solo problema di Tokyo. La Corea del nord, protetta dalla Cina e in misura minore dalla Russia, ieri ha effettuato il quattordicesimo test missilistico dall’inizio dell’anno, e le provocazioni di Pyongyang sono ormai considerate una parte di una più ampia minaccia alla stabilità dell’area. Lo ha detto anche Draghi, ieri, con Kishida: “Dobbiamo continuare a mostrarci uniti e risoluti a difesa dell’ordine internazionale basato sulle regole – anche in riferimento ai Mari Cinesi e nello Stretto”, intendendo lo stretto di Taiwan e i rapporti tra Pechino e Taipei. 

 

Quella che sta conducendo il governo giapponese è una missione con un investimento politico importante e anche con qualche contraddizione: Tokyo non ha rinunciato al progetto energetico Sakhalin con la Russia, e la versione ufficiale è che “se ci ritirassimo noi, adesso, qualcun altro se lo prenderebbe”. Ma le sanzioni imposte dal Cremlino contro il governo giapponese segnano  la fine, definitiva, delle trattative per arrivare a un trattato di pace che dopo la fine della Seconda guerra mondiale Tokyo e Mosca non hanno mai firmato. 

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