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In Francia ha vinto il commander in chief dell'Europa del futuro

Claudio Cerasa

Macron altri cinque anni all’Eliseo è una risposta alle sfide globali che l’Unione deve affrontare, alle minacce dei sovranisti, dei nemici della società aperta e dei cavalli di Troia del putinismo. E anche l’Italia, nel giorno della Liberazione, può festeggiare

La formidabile vittoria di Emmanuel Macron contro Marine Le Pen (58 per cento dei consensi ottenuti ieri al ballottaggio) è una buona notizia per la Francia ma è soprattutto una buona notizia per l’Europa. Lo è, per l’Europa, per tutto ciò che Macron rappresenta da anni rispetto al tema dell’integrazione europea, rispetto al sogno del sovranismo europeo, rispetto alla difesa della democrazia liberale, rispetto alla lotta contro gli utili idioti del putinismo, rispetto all’idea che in un mondo dominato da giganti, da giganti come la Cina, come gli Stati Uniti, come l’India, muoversi da nani, disperdendo le forze piuttosto che unirle, significa molto semplicemente rassegnarsi all’idea di dover essere schiacciati dalla storia. La vittoria di Emmanuel Macron, naturalmente, mette di buon umore tutti coloro che hanno capito quanto il nazionalismo, anche se incipriato, anche se mimetizzato, possa essere un perfetto cavallo di Troia usato diabolicamente dalle democrazie illiberali per provare a indebolire il tessuto vitale dell’Europa

  

La vittoria di Macron ci ricorda tutto ciò a cui l’occidente libero non può permettersi di rinunciare per difendere i valori non negoziabili di una democrazia liberale. La stagione dei sonnambuli ha bisogno di qualcuno che sappia ricordare con i fatti l’importanza di combattere senza ambiguità i nemici delle società aperte

 

Così come ulteriore buon umore potrebbe offrire la vittoria in Slovenia dei liberali di Robert Golob, indicati ieri sera dagli exit poll in vantaggio rispetto al partito dell’attuale premier Janez Jansa, altro populista di destra. E non ha torto chi ha sostenuto in queste settimane che una vittoria in Francia di Marine Le Pen – la candidata di estrema destra aveva detto di aver abbandonato la sua proposta di uscire dalla zona euro e dall’Unione europea, la cosiddetta Frexit, ma aveva delineato un percorso di “mini Frexit” che avrebbe portato allo smantellamento di fatto della costruzione comunitaria, promuovendo l’uscita dal mercato europeo dell’elettricità per avere prezzi sulla base della produzione francese e non degli errori strategici dell’Ue, ma per fortuna gli elettori francesi hanno capito che le follie dei nazionalisti sono irreversibili e che le svolte moderate dei populisti sono solo delle truffe dietro le quali si nascondono progetti eversivi, e speriamo che la lezione nei prossimi mesi valga anche fuori dalla Francia – avrebbe consentito a Vladimir Putin di avere un ulteriore prezioso alleato tra i paesi europei, dopo l’Ungheria, con cui provare a interrompere il processo di integrazione europea.

 

Eppure, il sospiro di sollievo immenso generato dalla vittoria di Macron è un sospiro di sollievo che si sposa con una brusca sensazione di fragilità che ci consegna la stagione che stiamo vivendo. Una stagione speciale, drammatica, all’interno della quale le democrazie liberali hanno dimostrato di avere in seno gli anticorpi giusti per difenderci dal dispotismo, dalle autocrazie, dalle dittature, dalle guerre, dai nazionalisti e dalle emergenze. Ma all’interno della quale, nonostante tutto, l’occidente libero deve essere consapevole di quanto il suo percorso sia simile a quello di un elefante che si muove su un pavimento di cristallo. E’ vero. L’Europa, rispetto a cinque anni fa, quando Macron venne eletto per la prima volta, è più forte, più unita, più compatta e più consapevole di quali siano le grandi sfide globali.

 

Ma allo stesso tempo l’Europa sa che di fronte a sé ha ancora alcune grosse minacce da affrontare. Una minaccia è quella che deriva dai nemici interni, dai cavalli di Troia del putinismo, quelli di oggi (Orbán) e quelli di domani (Salvini), che fino a quando potranno fare affidamento sui meccanismi che impongono unanimità nelle scelte che contano potranno utilizzare il potere di veto come un’arma per imporre lo status quo. Un’altra minaccia è quella che deriva dall’assenza, Macron a parte, di leadership forti capaci di dare un’anima non notarile al progetto europeo, e la debolezza mostrata fin qui al cospetto della Russia dal cancelliere tedesco Olaf Scholz, per esempio, è un tassello che in prospettiva rende più fragile il mosaico dell’Europa del futuro.

   

Una minaccia ulteriore, poi, è quella che deriva dall’appuntamento elettorale di midterm americano, a novembre, dove Joe Biden potrebbe perdere la maggioranza al Congresso – cosa che in verità successe nel 2014 anche a Barack Obama, che al voto di midterm perse il controllo dell’intero Congresso, salvo essere riconfermato due anni dopo – e dove il partito repubblicano non sembra avere intenzione alcuna di emanciparsi dalla stagione del trumpismo eversivo esplosa come un petardo la mattina del 6 gennaio 2021. Un Biden indebolito nonostante la prova di leadership offerta sull’Ucraina, un partito repubblicano che torna a fare scouting di nazionalismi in giro per il mondo, un’Europa in crescita ma ostaggio del potere di veto degli utili idioti del putinismo, una Cina desiderosa di non separare il suo destino da quello della Russia, una Turchia ormai padrona di un pezzo non indifferente dell’Africa del nord, un’economia mondiale in cui il mix tra inflazione, recessione e immigrazione potrebbe ridare nuovo ossigeno alle istanze populiste e una leadership europea che, Macron a parte (Draghi per quanto ci sarà?), non sembra avere grandi personalità all’altezza delle sfide del futuro.

  

La vittoria di Macron è lì a ricordarci tutto ciò a cui l’occidente libero non può permettersi di rinunciare quando pensa a come difendere i valori non negoziabili di una democrazia liberale. Ma il mondo che gira attorno a Macron è lì a ricordarci che mai come oggi la stagione dei sonnambuli ha bisogno di qualcuno che sappia ricordare con i fatti quanto sia importante spendersi per combattere senza ambiguità i nemici delle società aperte. E in questo senso non ci poteva essere giorno migliore, in Italia, per festeggiare, nel giorno della Liberazione, la vittoria del vero commander in chief dell’Europa del futuro.

 

Meno nazionalismi uguale più futuro. Meno populismo uguale più protezione. Più Europa uguale più libertà. I pericoli per il futuro non mancano ma intanto oggi possiamo urlare, con un po’ di buon umore, viva Macron – e viva tutto ciò che rappresenta l’affermazione degli utili costruttori dell’europeismo sugli utili idioti del putinismo.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.