Viva la Francia ribelle della Ztl

Maurizio Crippa

Grazie anche alla gauche, il solito voto filo élite può salvarci. Il paradossale ruolo di Mélenchon, che potrebbe rilasciare voti verso Macron

Ha addirittura vinto nel primo arrondissement di Parigi, che più centro di così non si può, anche se il resto di quella che noi provinciali chiameremmo “la Parigi ztl”, che però non perde il suo tempo a votare la sindaca Anne Hidalgo né i suoi alleati verdi, se l’è preso ovviamente Macron: Parigi, ancora una volta, è scampata ai sanculotti. Come previsto, negli arrondissement periferici la France insoumise ha vinto, ma il bottino del candidato della sinistra non è facilmente geolocalizzabile. Jean-Luc Mélenchon ha trionfato a Saint-Denis, ha vinto in casa a Marsiglia e in altre grandi città, ha stravinto nei dipartimenti d’Oltremare, dove scarseggiano le élite privilegiate; ha raccolto come previsto il voto di ex gilet gialli e di tutto quanto di populista e anticastale e antieuropeista si può aggregare a sinistra, fan di Putin compresi. Però, confermano le prime analisi, ha intercettato anche la scelta degli ecologisti, il famoso voto utile che non è andato sprecato per Yannick Jadot né per i defunti socialisti. E inoltre il voto dei più giovani. Ed è interessante notare che a Parigi, dietro a Macron e lui ci sia il vuoto. Zemmour ha raccolto un insignificante 8 per cento. Il primo e maggior risultato di Mélenchon, con la sua pesca a strascico a sinistra, è che la sua Francia che si ribella ha dato una mano a Macron, alle maledette élite. E’ servito a tagliare l’elettorato sotto i piedi al populismo di destra, quello di Éric Zemmour e Marine Le Pen.

    
In generale, se la tonitruante campagna anti tutto di Éric Zemmour ha ottenuto soprattutto il risultato di sottrarre voti a Marine Le Pen, l’alter-populista Mélenchon ha avuto il ruolo di raddoppiare il risultato, cioè di togliere a sua volta una parte del voto protestatario alla candidata del  Rassemblement – insistendo proprio su quel miscuglio perfettamente sovrapponibile di slogan e parole d’ordine, di temi antieuropei, antiglobalisti, spolverati di strizzate d’occhio, anzi più che strizzate d’occhio alla Russia di Putin. Senza l’exploit di France insoumise, Le Pen sarebbe andata meglio, anche se ovviamente restando lontana dal colpaccio, ormai impossibile nello spampanato schema politico francese. Ma che importa, quel che importa è il ballo Mélenchon ha qualcosa di paradossale e forse di provvidenziale.

  
L’altro risultato paradossale di France insoumise è infatti che, avendo fagocitato (processo che dura da anni, per nulla casuale) qualsiasi possibilità di affermazione di una sinistra ancorata a un riformismo europeo e moderato, Mélenchon ha tolto dal ballottaggio un’altra volta proprio la sinistra. Aiutando a consegnare la Francia all’elitarismo macroniano. O almeno, per stare prudenti, a dargli una possibilità in più. Così a sinistra affiorano alcune classiche, certe significative riflessioni che sanno più che altro di scoramento. Come in un commento di un grande economista di riferimento della sinistra vecchia scuola qual è Jacques Attali, intervistato dalla Stampa, secondo cui nonostante l’esclusione di Mélenchon dal ballottaggio “i francesi vogliono qualcosa più a sinistra di Macron”.

  

Attali, ma non è solo lui, si schiera per qualcosa che non c’è più, o che forse ci sarà in un domani non esattamente ravvicinato: “Io ora lo sostengo (Macron, ndr) ma resto di sinistra. Se sarà rieletto, riprenderò il mio posto con gli altri intellettuali nello schieramento della gauche”. Uno schieramento che però ancora una volta ha eliminato se stesso, e proprio grazie al vecchio campione del radicalismo. Forse, contrariamente a quanto sembra pensare Roberto Speranza, secondo cui, sempre alla Stampa, “il risultato del primo turno ci dice però che c’è un’enorme questione sociale” – opinione condivisa da molti politici e commentatori ascrivibili alla sinistra italiana, che evidentemente vedono in France insoumise come una sorta di campo largo transalpino – Mélenchon rappresenta invece la miglior garanzia che Macron ce la possa fare: col suo né destra né sinistra, che però è un po’ più di destra. E, tra i motivi, c’è proprio il fatto che  la sinistra è stata risucchiata tutta nella radicalizzazione populista.

  

Nel tripolarismo di fatto che ha trasformato la politica francese, che tirate le somme è un gioco ad escludendum che taglia le estreme, il ruolo di France insoumise potrebbe servire soprattutto a Macron, sulla carta il gran nemico. Certo, perché il paladino della gauche intransigente ha immediatamente indicato la via a chi lo ha votato, “nessun voto vada a Marine Le Pen”. Ma soprattutto, perché sarà interessante vedere che fine farà quel voto utile ma non populista, non altermondialista, non antieuropeo che ha votato per lui al primo turno in antipatia a Macron. Antipatia forte o  relativa, ma non insormontabile. I Verdi e i socialisti, persino quel che resta del gollismo repubblicano. Hidalgo e Jadot hanno già dato appoggio esplicito al presidente e anche Valérie Pécresse ha promesso a Macron quel che resta del voto dei repubblicani. Sono quella manciata percentuale che potrebbe bastare a Macron. Soprattutto sono l’indicazione che un voto di sinistra riformista, o di destra non sovranista, e un ecologismo che vada oltre le ciclabili di Parigi – insomma quello che Le Pen e Zemmour (e persino Mélenchon) chiamerebbero schifati “voto delle élite” – esiste e può contare. Certo, bisognerà capire dove andrà il voto giovane urbano, che potrebbe secondo gli analisti ritirarsi in un astensionismo scontento. Ma il miglior paradosso di questa zona franca di elettori che hanno scelto Mélenchon, anche se non si sentono élite, anche se avrebbero preferito un altro presidente, alla fine salveranno la Francia (e noi, l’Europa) dallo scivolone. Grazie anche a Mélenchon, le élite ci salveranno.
 

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"