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“Un agente segreto mediocre, insignificante”. Putin raccontato da Jirnov

Mauro Zanon

In "L'éclaierur" l'ex spia del Kgb racconta con dovizia di dettagli il mondo del controspionaggio russo e i suoi molteplici incontri (spiacevoli) con l'attuale capo del Cremlino 

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Nell’agosto del 1980, Sergueï Jirnov era un giovane e brillante studente moscovita che aveva accettato un lavoro da centralinista in occasione dei Giochi olimpici di Mosca. Un giorno, riceve la chiamata di un francese, con il quale si intrattiene a lungo, contento di poter mostrare la sua padronanza della lingua di Molière. La conversazione, tuttavia suscita i sospetti del Kgb, i servizi segreti dell’Unione sovietica. Un agente con gli occhiali neri si palesa poco dopo la chiamata davanti a lui. “Si presenta: capitano Putin. Mi ha fatto subire un interrogatorio staliniano, accusandomi di aver tradito la madre patria, di essere una spia al soldo dei francesi”, racconta oggi Sergueï Jirnov, ex agente del Kgb, nelle sue memorie, “L'éclaireur” (Éditions Nimrod), dove descrive con dovizia di dettagli il mondo del controspionaggio russo e i suoi molteplici incontri con l’attuale capo del Cremlino, all’epoca “un agente segreto mediocre, insignificante”, secondo le sue parole.

 

Nel 1984, quattro anni dopo il loro primo incontro, Jirnov e Putin si ritrovano all’Istituto Andropov, anche soprannominato la “Scuola della Foresta”, dove viene formata la crème dell’Svr, ossia la divisione esterna del Kgb, quelli che vengono mandati in missione all’estero: gli “éclaireurs”, gli esploratori. Sono all’esterno dello Stadio Lužniki di Mosca, sul piazzale degli autobus. “Piccolo, tarchiato, a disagio nella sua divisa fatta con un pessimo tessuto sovietico. Vado a parlargli. Ci conosciamo? Sì. Hai avuto a che fare con me nell’agosto del 1980, durante i Giochi olimpici”. La memoria si rinfresca subito quando, prima di salire sugli autobus, sente il suo nome: “Putin, Vladimir”. “Al Kgb passavamo il nostro tempo a mentire. Era la base del mestiere. Vorrei tuttavia soffermarmi sul curriculum vitae di Vladimir Putin. Assegnato a Leningrado (oggi San Pietroburgo), ha lavorato per nove anni nella polizia politica, poi nel controspionaggio, prima di essere mandato dodici mesi all’Istituto Andropov di Mosca. È lì, alla ‘Scuola della Foresta’, che venivano selezionate, istruite e addestrate le vere spie, chiamate gli ‘esploratori’. Solo questi ultimi erano mandati in missione all’estero. Io stesso sono passato da lì prima di essere spedito in Francia per infiltrarmi nell’Ena (la scuola di alta amministrazione francese, che forma l’élite della nazione, ndr)”, ha raccontato al Figaro Jirnov, esiliato a Parigi dal 2001 dopo aver ottenuto lo statuto di rifugiato politico.

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Al termine dell’anno di studi all’Istituto Andropov, “gli istruttori lo hanno ritenuto inadatto, perché incapace di valutare correttamente le decisioni che prendeva e le relative conseguenze, sia per lui che per il Kgb”, rivela Jirnov. Putin viene dunque mandato a Leningrado, che era considerata la periferia del Kgb, prima di essere di essere spostato a Dresda, nella Repubblica democratica tedesca, dove il suo compito principale era redigere note da inviare a Mosca per riferire il lavoro svolto da altri. “Per noi, spie del Kgb, era un ruolo insignificante”, afferma Jirnov. Della mediocrità di Putin come agente dell’intelligence, ebbe un’esperienza diretta. Nel 1986, Jirnov, testato dal Kgb, deve attraversare diversi paesi dell’Ovest sotto diverse identità. Il suo viaggio termina a Dresda, dove si mimetizza tra un gruppo di studenti stranieri invitati a un ricevimento organizzato dai Giovani della Ddr. “All’improvviso, vedo un volto conosciuto. Ma sì, è Vladimir Putin. È un po’ ingrassato, ma resta comunque grigio nella sua divisa da agente del Kgb”, scrive Jirnov. Quest’ultimo fa finta di non conoscerlo e si allontana. Putin, invece, scatta verso di lui, cominciando a parlare in russo. Jirnov gli risponde in tedesco. Putin insiste. Jirnov, a quel punto, tira fuori un passaporto belga e sguscia via.

 

“Aveva appena violato una regola di base del Kgb: se riconosci il volto di un collega in missione, non dare mai l’impressione di conoscerlo e non provare mai a stabilire un contatto”. Al suo ritorno a Mosca, Jirnov scrive un report durissimo sul comportamento inappropriato di Putin, che per poco rischiava di mandare all’aria la sua operazione. “All’epoca il Kgb contava 420 mila ufficiali. E non tutti erano brillanti. Anche un elemento mediocre poteva fare carriera”, ha detto al Figaro Jirnov. Di certo, la carriera di Putin al Kgb è stata fondamentale per il suo futuro politico. “È lì che si è costruito la cerchia di fedelissimi che lo avrebbe accompagnato fino al potere supremo, per un concorso di circostanze straordinarie e una fortuna insolente, e che si è presa i migliori posti: intelligence, logistica e grandi imprese statali”, spiega Jirnov. Il colpo di fortuna per il mediocre tenente-colonello del Kgb Vladimir Putin arriva al suo rientro nell’Unione sovietica, a Leningrado, dopo il collasso del regime della Germania dell’Est. A Leningrado, viene inserito nella sezione Affari internazionali dell’Università Statale. Nella sua nuova posizione, rinsalda i rapporti con il suo ex professore di diritto diventato sindaco di San Pietroburgo: Anatolj Sobčak. Per Putin, è l’inizio della conquista del potere.

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