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Per difendere l’Ucraina, il mercato europeo fa più delle baionette

Jean-Pierre Darnis

L'errore di analisi di Vladimir Putin è nel sottovalutare gli effetti strutturali del potere moscio, o "soft", dell'integrazione economica e regolamentativa prodotti dall'Unione, come attrarre a sé un paese che non vuole più sentire parlare delle rigidità russe

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La prospettiva dell’invasione russa in Ucraina viene spesso analizzata denunciando la mancata capacità dell’Europa di essere credibile di fronte a tale minaccia. Quando l’accento viene messo sull’uso della forza militare, il richiamo è agli Stati Uniti mentre l’Unione europea e i suoi stati membri restano in panchina. Le ragioni dell’Ue, un attore politico rilevante dal punto di vista politico ed economico, hanno difficoltà a farsi strada in un contesto in cui prevale la forza e si contano i carri armati russi ancora ammassati intorno all’Ucraina. Esiste però una serie di paradossi che può modificare questa lettura riguardo la disfatta annunciata dell’Europa. La Russia è un paese che sconta grandi debolezze economiche e politiche. Il potere russo si mantiene grazie a un largo uso della forza  sia nella repressione interna sia come principale fattore di azione/intimidazione internazionale: Mosca punta  sulle capacità delle forze armate, ma anche su una determinazione maggiore a compiere azioni di forza. La Russia appare dunque come un regime realista, che concepisce  il mondo come un  risiko, mescolando questioni territoriali e storiche con il dispiegamento militare. Si tratta però di una percezione  datata e anche fuorviante. 

 

La teoria dell’accerchiamento attualmente di moda a Mosca offre una lettura complottista delle relazioni internazionali che viene usata come giustificazione da Vladimir Putin: è il classico mito  del “nemico alle porte” che serve a tenere unito il regime. Ma questa lettura russa non riesce nemmeno a descrivere correttamente il proprio paradigma. Se è vero che le democrazie occidentali possono apparire come deboli di fronte alle prospettive belliche, allora vuol dire che non stanno cercando di accerchiare la Russia. L’errore di analisi è particolarmente significativo nel caso ucraino. Fu l’accordo di associazione fra l’Unione europea e l’Ucraina a provocare le proteste del Maidan nel 2013 e nel 2014, con un risultato poi favorevole al trattato di libero scambio con l’Ue. Niente adesione alla Nato, ma dal 2014 in poi, è stata introdotta una  politica di libero scambio con l’Ue che è diventata un ancoraggio fondamentale per un’Ucraina attratta dal benessere e dalla libertà dell’Unione. E’ un legame importante che si nota anche in Italia con la solida presenza di un’importante comunità ucraina nel mercato del lavoro. Il potere moscio, o “soft”, dell’integrazione economica e regolamentativa adoperato dall’Unione  produce effetti strutturali, come attrarre a sé un’Ucraina che non vuole più sentire parlare delle rigidità russe. Storicamente l’Ucraina ha  rappresentato un ancoraggio europeo per la Russia e questo fatto sottolinea lo slittamento verso oriente di una Russia talmente isolata che può ormai soltanto contare sul partenariato con la Cina. 

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Ma la vittoria del mercato e delle regole risulta molto più profonda di quelle che si ottengono con la punta delle baionette. Anche nel caso di un’invasione, sempre all’ordine del giorno,  i russi diventeranno una forza di occupazione che potrebbe vedersela con la resistenza locale e probabilmente sopravvalutano il desiderio di parti del popolo ucraino di passare sotto la loro sovranità, rischiando di impantanarsi in un inatteso scenario in stile afghano. C’è poi la questione delle capacità militari dell’Europa, cioè di fare diventare l’Ue una potenza  credibile nell’utilizzo della forza e quindi nella deterrenza. Un certo grado di “potenza” potrebbe essere necessario per tutelare il proseguimento del  potere “soft” dell’Ue, o della sua “autonomia strategica”. Il dibattito è aperto, ma la risposta potrebbe essere meno ovvia di quanto sembri, anche perché l’incredibile resilienza  dell’Unione ci insegna a diffidare dei  modelli classici di equilibrio dei poteri.

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