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Quanto rumore fa la lotta tra il New York Times e il suo sindacato

Matteo Muzio

Le frecciate contro Amazon di Bezos, proprietario del rivale Washington Post, tra ipocrisia, inclusione e voti

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La rivalità tra i due principali quotidiani dell’establishment americano, il Washington Post e il New York Times, ha segnato gli anni recenti caratterizzati dalla presenza politico-mediatica di Donald Trump. Se il Washington Post ha addirittura aggiunto sotto la testata la dicitura “La democrazia muore nell’oscurità”, il suo avversario newyorchese con lo scoop riguardante le dichiarazioni dei redditi dell’allora presidente in carica nel 2020 ha decisamente segnato un bel colpo giornalistico. Adesso siamo alle frecciate: molto spesso sulle pagine del Times ci sono storie riguardanti gli sforzi di Amazon, la multinazionale fondata dall’attuale proprietario del Post Jeff Bezos, per contrastare gli sforzi di sindacalizzazione nei vari stabilimenti, ultimo tra questi un deposito che si trova a Staten Island, all’interno della stessa Grande Mela.

   
Peccato però che la stessa proprietà del Times non sia così favorevole alla sindacalizzazione dei suoi dipendenti, come risulta da uno scoop del Guardian, uscito lo scorso 5 gennaio. Ecco lo scenario: più di seicento dipendenti della divisione di sviluppo tech chiamata Xfun hanno ricevuto lo scorso 24 gennaio le schede per decidere se aderire a un sindacato, per la precisione il NewsGuild, fondato nel 1933 da tre giornalisti newyorchesi. Nessuno di questi lavorava al Times. Tornando a oggi, la raccolta dei voti finirà il 28 febbraio e i risultati si sapranno il prossimo 7 marzo.

 

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Le conversazioni private su Slack dei dirigenti come l’amministratrice delegata Meredith Kopit Levien però raccontano di come la compagnia sia tutt’altro che neutrale, spingendo esplicitamente perché la sindacalizzazione dei suoi lavoratori del tech fallisca. “Sono contraria, ma non perché sono contro i sindacati”, afferma in un memo diffuso internamente. Figurarsi, non sia mai. Aggiungendo però un grosso “ma”: “Un caso molto vicino a noi, quello di Wirecutter (un sito di recensioni tecnologiche) mostra come la sindacalizzazione ostacoli il raggiungimento di certi obiettivi insieme”.

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Ovviamente c’entra anche l’uguaglianza e l’inclusione, parole d’ordine che suonano vuote nelle parole della più alta dirigente di una società che è stata sanzionata dall’Ufficio nazionale per le relazioni sindacali lo scorso 29 dicembre per aver “interferito, costretto e ostacolato” i propri dipendenti in violazione dei propri diritti. Uno sforzo paragonabile a quello di Charles Koch, il miliardario liberista di Wichita, Kansas, campione della destra antitasse, finanziatore di molti esponenti repubblicani per più di cinquant’anni. Difficile non pensare male quando, si legge in un comunicato del sindacato NewsGuild, si viene a sapere che il Times proporrebbe dei benefit extra per chi sceglie di non sindacalizzarsi.

    

Facile poi che anche un rivale conservatore del Times come il Wall Street Journal chiosi in un suo editoriale: “Quindi avete capito anche voi che i sindacati sono un ostacolo all’innovazione aziendale”.

   
In uno stato favorevole ai sindacati come New York, NewsGuild dovrebbe prevalere il prossimo 7 marzo. Segnando una data storica perché mai prima di allora così tanti lavoratori del mondo tech si erano sindacalizzati in una sola azienda. Si registra però l’ipocrisia di un giornale autorevole come il New York Times che ospita poderosi editoriali contro imprenditori come Jeff Bezos e Charles Koch adottando gli stessi metodi per affrontare i rapporti con i dipendenti delle proprie aziende. Incassando per giunta la sanzione dell’Ufficio nazionale per le relazioni sindacali ormai cambiato dalle nuove nomine dell’Amministrazione di Joe Biden.

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