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Il vento dell'est

Nel 2022 ci saranno alcuni test sulla tenuta delle destre sovraniste dell’Europa

Paola Peduzzi

Secondo Politico Europe si comincia nell'Ungheria di Viktor Orbán e la Slovenia di Janez Jansa. Poi la Polonia 

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Molti paesi dell’est Europa compaiono nella parte bassa della classifica delle percentuali di vaccinazioni nei diversi stati membri. In questo momento l’ondata Omicron sembra avere un impatto più basso che a ovest, ma le resistenze e le esitazioni sui vaccini hanno avuto finora una grande rilevanza, e anche la retorica dei governi, a trazione conservatrice, si è dovuta modificare: un esempio fra tutti è quello dell’Ungheria, dove il premier, Viktor Orbán, grande agitatore delle coscienze euroscettiche, ha voluto rientrare nel programma di acquisto e distribuzione dei vaccini europei. L’efficacia dei vaccini alternativi a quelli europei è molto discussa, anche perché non vengono forniti dati consultabili in modo trasparente, e questo potrebbe avere delle conseguenze anche sulla politica interna di questi paesi, che si vedono sempre come un fronte di resistenza nei confronti delle ingerenze europee ma poi sono costretti a fare anche i conti con il loro elettorato. Secondo Politico Europe, il 2022 potrebbe ridisegnare gli equilibri dell’est Europa, in particolare nella già citata Ungheria ma anche in Slovenia e in Polonia.

  

Orbán deve affrontare in primavera delle elezioni che, viste oggi, sembrano contese: l’opposizione si è unita attorno a un candidato unico, un conservatore con molti contatti in occidente, Péter Márki-Zay, che sta usando metodi molto duri per smascherare la politica del premier. Le aspettative europee sono molto alte, e questo è un problema, ma le ultime mosse di Orbán mostrano che anche lui si sente in pericolo: per esempio ha deciso di congelare i tassi di interesse per i mutui per sei mesi, un modo per tenere al riparo l’economia da fluttuazioni che potrebbero compromettere uno dei capisaldi della politica orbaniana, cioè il benessere degli ungheresi. L’effetto finale non si può prevedere, ma per la prima volta, tra ribellioni, concentrazione del potere, corruzione (che ritarda il Recovery fund), pandemia e battaglie culturali, il test non è scontato.

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Così come non lo è in Slovenia, dove il premier Janez Jansa, che gioca a fare un piccolo Orbán come ha dimostrato nel semestre di presidenza europea dell’inizio dell’anno, rischia di essere punito anche per la sua gestione altalenante della crisi pandemica, oltre che per aver svilito autonomia e credibilità delle istituzioni del paese. La sua sfidante è Tanja Fajon, che come lo sfidante ungherese gode di un enorme credito in Europa: quel che piace in questa parte del continente spesso non è quel che piace a est, ma certo un cambiamento di direzione in Ungheria e Slovenia porterebbe a molti cambiamenti anche nelle dinamiche europee. Basti pensare ai rapporti con Mosca e Pechino o alla gestione dei vaccini o ai continui scontri sullo stato di diritto.

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In quest’ultimo senso anche la Polonia viene messa nel novero dei paesi in cui potrebbero cambiare gli equilibri dell’Unione europea: non sono previste elezioni, ma gli scontri interni (il presidente Duda ha messo un veto a una legge che toglieva autonomia a una emittente di proprietà statunitense) e quelli con le istituzioni europee sono aumentati di intensità e potrebbero farlo ancora di più.I più ottimisti si aspettano una maggiore moderazione da parte di questi leader che non vogliono perdere potere. I più realisti dicono invece che questi sistemi semi-autocratici cercheranno di sfruttare al meglio le storture alla democrazia introdotte negli anni. Il test riguarda tutte le destre continentali a caccia del loro baricentro.

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