Catch and Release

Aung San Suu Kyi sta diventando l'ostaggio perfetto

Massimo Morello

La Signora è stata condannata a 4 anni di carcere per poi ricevere una riduzione di due anni il giorno dopo: l'ennesima rappresentazione della "parodia di giustizia" birmana

La diplomazia dell’ostaggio messa in pratica dai generali birmani col giornalista americano Danny Fenster, condannato a 11 anni e poi rilasciato, sta evolvendo, mutando in quella che si potrebbe definire la tecnica del Catch & Release (cattura e rilascia). E’ accaduto con Aung San Suu Kyi: domenica 5 dicembre è stata condannata a 4 anni di carcere per istigazione al dissenso e violazione delle norme sul Covid, nella sera di lunedì 6 ha avuto una riduzione di due anni di pena, per concessione del generale Min Aung Hlaing, capo della giunta e autore del colpo di stato del primo febbraio 2021.

 

Considerando che il verdetto di lunedì è il primo di undici incriminazioni per una serie di assurdi reati che potrebbero costare alla Signora, 76 anni, una pena complessiva di 102, questo primo atto di “clemenza” è l’ennesima rappresentazione di quella “parodia di giustizia” – come l’ha definita il malaysiano Charles Santiago, presidente del gruppo dei parlamentari Asean (l’Associazione dei paesi del Sud-est asiatico) per i diritti umani – messa in scena in Birmania.

 

Procrastinare i processi e le ineluttabili condanne con eventuali riduzioni di pena, è la prova di un perverso gioco di ricatto operato dai militari in cui il tempo gioca a loro favore. La riduzione di pena inoltre serve ai militari per dimostrare la loro “buona volontà” nel momento in cui i paesi dell’Asean si dimostrano incerti sulla posizione da prendere, divisi fra i fautori del rigore e quelli che sostengono la necessità del dialogo con la giunta, come il premier cambogiano Hun Sen – cui spetta la presidenza di turno dell’Asean – o il thailandese Prayut Chan-o-cha, che gli stessi generali birmani hanno eletto a loro modello. Intanto la “parodia” birmana assume sempre più contorni granguignoleschi.

 

Per le strade si è perso il conto dei morti. Gli ultimi cinque degli oltre 1300 sono stati travolti, letteralmente schiacciati da un camion militare che domenica mattina ha investito un gruppo di manifestanti in difesa di Aung San Suu Kyi. Ma ancor più sono i morti negli scontri tra militari, milizie etniche e “partigiani” del governo ombra. Una situazione che rischia di trasformare il Myanmar in una parodia di nazione. Per molti osservatori la sola che potrebbe modificare il corso degli eventi è la Signora. Forse anche per questo si sta trasformando, suo malgrado, nell’ostaggio perfetto. 

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