Con la Omicron ricomincia la guerra ingiusta contro l'Ue sui brevetti

Micol Flammini

India e Sudafrica chiedono di liberalizzarli, ma con la diffusione della variante la proprietà intellettuale non c'entra nulla. Qualche dato 

Era facile che con la scoperta della variante Omicron negli stati meridionali dell’Africa si ripresentasse l’idea di liberalizzare i brevetti dei vaccini per permettere di immunizzare i paesi a basso e medio reddito. Ed era altrettanto facile che la colpa per la mancata liberalizzazione dei brevetti ricadesse sull’Unione europea. I paesi in via di sviluppo sostengono che i brevetti blocchino l’accesso alle cure, e se il presidente americano Joe Biden già mesi fa aveva detto di essere a favore della loro liberalizzazione, la Commissione europea continua a pensare che la protezione dei brevetti sia vitale per garantire che Big Pharma continui a investire denaro nella ricerca e nell’innovazione. Chi è a favore della liberalizzazione ritiene che sia l’unico modo per uscire dalla pandemia, ma non tiene conto del fatto che produrre un vaccino non è semplice, non basta conoscerne la ricetta. L’Ue sa benissimo che vaccinare tutti sia l’unica strada percorribile, ma non a torto ritiene che il problema non siano i brevetti , così  è diventata il bersaglio soprattutto di India e Sudafrica, i due paesi che chiedono con insistenza una deroga sulla proprietà intellettuale. 

 

Il Sudafrica, dove la variante Omicron è stata identificata, non ha problemi di dosi. Ha problemi di scetticismo, che non si risolvono con i brevetti. L’agenzia Reuters ha raccontato che sono stati proprio i funzionari sudafricani  a chiedere a Pfizer e a J&J di ritardare le consegne  di vaccini previste, perché nei magazzini ci sono troppe scorte, e l’esitazione dei cittadini sta  rallentando la campagna di vaccinazione. Nel paese solo il 35 per cento della popolazione è immunizzato, ma le dosi inutilizzate sono più di 16 milioni: il problema sta tutto nella diffidenza della popolazione che finora la politica non è riuscita ad affrontare. La maggior parte dei vaccini che sarebbe dovuta andare al Sudafrica verrà ora recapitata in altri stati africani. 

 

L’Unione europea si è impegnata a donare le proprie dosi che sarebbero rimaste in frigorifero, e se ha una responsabilità nei confronti dei paesi in via di sviluppo sta tutta nel non aver rispettato a pieno i suoi impegni: secondo i dati della società londinese Airfinity, l’Ue aveva promesso di donare almeno cento milioni di dosi entro la fine dell’anno, ne ha consegnate solo il 19 per cento. Inoltre ha perso tempo durante il propagarsi della variante Delta: a luglio tutti i paesi che avevano promesso fiale di vaccino erano molto indietro nelle consegne, Italia inclusa. Ma in alcuni paesi dell’Africa il problema non è neppure più la mancanza di vaccini, quanto la diffidenza. Sempre Airfinity racconta che la Repubblica Democratica del Congo in aprile ha restituito 1,3 milioni di dosi all’organizzazione internazionale per la distribuzione dei vaccini nei paesi in via di sviluppo, Covax. Il Malawi ha bruciato ventimila dosi e in altri stati africani la situazione è simile e non ha nulla a che vedere con Big Pharma e la tutela della proprietà intellettuale. 

 

L’altro paese che assieme al Sudafrica conduce la battaglia sui brevetti è l’India, che durante il picco della seconda ondata, che nel paese è stata molto dura, ha deciso di bloccare l’export di dosi di AstraZeneca destinate al progetto Covax, quindi ai paesi in via di sviluppo. L’India ha ripreso da poco a esportare i vaccini ed essendo il più grande produttore al mondo, la decisione di bloccare le esportazioni per dare la priorità alla propria popolazione ha creato un rallentamento che ha esposto soprattutto  i paesi più vulnerabili. 

 

Tra le istituzioni europee il dibattito sulla liberalizzazione dei brevetti ha creato una spaccatura tra Commissione e Parlamento. Anche Biden ha ripetuto che la nuova variante – chiamata Omicron per saltare le lettere dell’alfabeto greco nu, confondibile con new, e xi, confondibile, ha detto l’Oms, con un cognome molto diffuso in Cina, perifrasi per non dire con il presidente cinese Xi Jinping – è il segnale che bisogna tornare a parlare di brevetti. Ma si tratta di una strumentalizzazione che non risolverebbe il problema delle basse percentuali di vaccinazione in Africa. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.