Putin ha un debole per Greta

Micol Flammini

Il presidente russo fa promesse ambientaliste e si impegna a raggiungere la neutralità per il 2060. Dietro ci sono calcoli pratici e la fragilità di un’economia che si regge sul ghiaccio

C’è chi sull’assenza di Vladimir Putin a Glasgow ci ha scherzato su. La maggior parte dei leader internazionali è andata alla Cop26, la conferenza delle Nazioni Unite sul clima, in aereo, qualche funzionario ha ritenuto più giusto andarci in treno, meno inquinante, e si è trovato bloccato sulla tratta Londra-Glasgow a causa di un albero caduto sulle rotaie. Putin non ci è andato, è rimasto a Mosca e ha deciso di mandare un videomessaggio: i suoi sostenitori hanno ritenuto la rinuncia al viaggio molto coscienziosa. La verità è che il presidente russo non lascia quasi più la Russia da quando è scoppiata la pandemia e poi nei consessi multilaterali si trova sempre meno a suo agio.

  

Alla Cop26  si cercherà di fare un passo in più rispetto alle promesse che i leader si sono scambiati al G20 a Roma e  per Putin sarebbe stato importante esserci: per far vedere che il suo interesse nei confronti del clima è reale. A Roma il capo del Cremlino  era intervenuto,  da remoto, per dire che la Russia  sta tagliando le sue emissioni di gas serra in modo più drastico rispetto alle altre nazioni del G7. Gli scienziati non sono d’accordo, le emissioni di carbonio in Russia sono aumentate negli ultimi decenni. Però è vero che  Putin sul clima ha cambiato atteggiamento. Fino al 2019 era tra chi negava l’esistenza del cambiamento climatico, adesso tutto è cambiato, ha tinto di verde le sue aspettative e ha iniziato a porsi i primi obiettivi: la neutralità dal carbone entro il 2060

   

La Russia è il quarto paese produttore di gas serra e la transizione sarà quindi complessa e dolorosa, ma il Cremlino sembra averla presa sul serio per questioni economiche e anche politiche. In uno dei suoi ultimi discorsi alla nazione  Putin aveva detto che la svolta verde è ormai inevitabile e che lo stato è pronto ad aiutare per la transizione. All’origine di questa svolta c’è la pressione che arriva da uomini a lui molto vicini. Herman Gref, capo di Sberbank, e Anatoli Chubais, capo dell’azienda che produce nanotecnologie Rusnano, sono sostenitori di una rapida transizione ecologica perché temono che presto la dipendenza della Russia dai combustibili fossili renderà la sua economia vulnerabile e sempre più debole sui mercati energetici globali. La minaccia di una carbon tax da parte dell’Ue, molto criticata da Putin e che spaventa molti giganti russi come Gazprom e Nornickel, in realtà ha spinto il mondo del business russo a convincersi che con la transizione prima si inizia meglio sarà. 

    

La Russia è fortemente dipendente dal petrolio e dal gas che oggi rappresentano circa il 60 per cento di tutte le esportazioni e il 15 per cento del pil russo. Se vuole essere competitiva Mosca deve iniziare a diversificare. Il governo ha lanciato un programma di sostegno per le fonti di energia rinnovabile, punta molto sull’energia solare: l’azienda di pannelli solari Hevel sta costruendo impianti anche negli Urali. La Russia è indietro, ma vuole colmare il divario che la divide dalle altre economie che ottengono circa il 10 per cento da fonti di energia eoliche e solari mentre Mosca è ferma allo 0,2. Il riscaldamento climatico sta cambiando molto la natura del paese, quest’estate la Siberia è stata tormentata dagli incendi e lo scioglimento del permafrost (il suolo perennemente ghiacciato della Siberia) – oltre al timore che possa causare fuoriuscite di metano – mette a rischio le infrastrutture costruite nell’Artico, alcune adibite anche al funzionamento degli oleodotti.

   

Per  il Cremlino il riscaldamento climatico è una questione molto interna. Secondo un sondaggio di Greenpeace, i cittadini sono generalmente d’accordo a tagliare le emissioni, anche se non tutti riconoscono il cambiamento climatico come una priorità. Il Cremlino è molto attento a soddisfare l’elettorato, quindi la questione è anche politica: le promesse sull’ambiente gli offrono una buona opportunità per andare incontro ai giovani, quelli più stanchi del sistema-Putin. Sul New York Times Thomas Friedman si domanda se Cina e Russia verrebbero in nostro soccorso se fossimo invasi dagli alieni. La domanda riprende uno scambio tra Mikhail Gorbaciov e Ronald Reagan raccontato in un  essay  di Robert Litwak, esperto di  controllo degli armamenti, sul cambiamento climatico. Gorbaciov rispose di sì, senza indugio. Se il cambiamento climatico è la nostra invasione di alieni, anche Vladimir Putin risponderebbe di sì: sa che la Russia è tra i più colpiti, cooperare è nel suo interesse.

   

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.