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Lukashenka, l'uomo in vendita

Micol Flammini

Il dittatore va da Putin per la quinta volta e dice che gli accordi per finalizzare l'integrazione saranno pronti a fine ottobre. Suda e balbetta. Il presidente russo ha fretta di concludere, ma tanto sostegno al bielorusso è un rischio anche per il Cremlino 

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A Vladimir Putin Aljaksandr Lukashenka non è mai piaciuto. In molte occasioni – l’ultima durante un suo intervento in aprile in cui ha detto che il bielourusso non è certo perfetto, ma comunque va difeso – ha sottolineato quanto poco stimi  il dittatore di Minsk. Sicuramente non ama la goffaggine di Lukashenka, ma ciò  che ha sempre infastidito Putin era il tentativo del bielorusso di stare in equilibrio tra occidente e Russia, anzi, anche di fare qualche dispetto a Mosca, se necessario, come quando si presentò all’insediamento del presidente ucraino Petro Poroshenko, simbolo della svolta occidentalista ed europeista di Kiev. Ma adesso Lukashenka non ha più forza per puntare i piedi, non ha più soldi, non ha armi, non ha elettori, ha un sistema di potere sempre più consumato dallo scoppio delle rivolte e dalle sanzioni occidentali. Lukashenka si è messo in vendita, per salvare se stesso, dittatore di una nazione che lo scorso anno, con le elezioni e poi con le proteste, gli ha fatto capire che di lui non vuole più saperne. 
La vendita era il senso della visita di ieri in Russia, il quinto incontro in un anno tra Putin e Lukashenka e a muoversi è stato sempre lui, sempre con una richiesta, sempre nel tentativo di salvare il suo potere. Sul tavolo c’erano vecchi accordi, 28 punti, che prevedono una più stretta collaborazione tra Mosca e Minsk. Ossia una più stretta ingerenza di Mosca sugli affari di Minsk, soprattutto in tre campi: politico, energetico, militare. Ogni viaggio che Lukashenka intraprende verso Putin è per chiedere soldi, e a ogni viaggio la Bielorussia perde un pezzo della sua sovranità.  Quando negli anni passati il dittatore cercava di mettere in dubbio l’amicizia tra Mosca e Minsk, quando si faceva forte, fingeva di avvicinarsi all’Ue, lo faceva perché sapeva che ai suoi cittadini, filorussi ma fieri della loro indipendenza, non piaceva  l’idea di coltivare una maggiore integrazione che potesse sfociare in un’unione tra i due stati. 

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A Vladimir Putin Aljaksandr Lukashenka non è mai piaciuto. In molte occasioni – l’ultima durante un suo intervento in aprile in cui ha detto che il bielourusso non è certo perfetto, ma comunque va difeso – ha sottolineato quanto poco stimi  il dittatore di Minsk. Sicuramente non ama la goffaggine di Lukashenka, ma ciò  che ha sempre infastidito Putin era il tentativo del bielorusso di stare in equilibrio tra occidente e Russia, anzi, anche di fare qualche dispetto a Mosca, se necessario, come quando si presentò all’insediamento del presidente ucraino Petro Poroshenko, simbolo della svolta occidentalista ed europeista di Kiev. Ma adesso Lukashenka non ha più forza per puntare i piedi, non ha più soldi, non ha armi, non ha elettori, ha un sistema di potere sempre più consumato dallo scoppio delle rivolte e dalle sanzioni occidentali. Lukashenka si è messo in vendita, per salvare se stesso, dittatore di una nazione che lo scorso anno, con le elezioni e poi con le proteste, gli ha fatto capire che di lui non vuole più saperne. 
La vendita era il senso della visita di ieri in Russia, il quinto incontro in un anno tra Putin e Lukashenka e a muoversi è stato sempre lui, sempre con una richiesta, sempre nel tentativo di salvare il suo potere. Sul tavolo c’erano vecchi accordi, 28 punti, che prevedono una più stretta collaborazione tra Mosca e Minsk. Ossia una più stretta ingerenza di Mosca sugli affari di Minsk, soprattutto in tre campi: politico, energetico, militare. Ogni viaggio che Lukashenka intraprende verso Putin è per chiedere soldi, e a ogni viaggio la Bielorussia perde un pezzo della sua sovranità.  Quando negli anni passati il dittatore cercava di mettere in dubbio l’amicizia tra Mosca e Minsk, quando si faceva forte, fingeva di avvicinarsi all’Ue, lo faceva perché sapeva che ai suoi cittadini, filorussi ma fieri della loro indipendenza, non piaceva  l’idea di coltivare una maggiore integrazione che potesse sfociare in un’unione tra i due stati. 

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Putin ora inizia ad avere fretta e ogni incontro aumenta la pressione. Ha accolto Lukashenka sorridendo, Lukashenka, come sempre, sudava: “Nel periodo post Covid – gli ha detto il presidente russo – è molto importante trovare risorse in più per rendere l’economia più efficace e per aumentare la nostra competitività – Siamo sulla strada giusta”. Lukashenka, in vendita, continuava a sudare. 
L’obiettivo del presidente russo è di rendere la Bielorussia sempre più dipendente da Mosca, fare della nazione sempre di più un avamposto russo che prema lungo il confine con l’Europa e con la Nato. Ieri sono iniziate le esercitazioni militari Zapad 2021 che Bielorussia e Russia fanno insieme ogni quattro anni, nei giorni scorsi il Cremlino ha inviato i caccia Sukhoi Su-30 a pattugliare i confini bielorussi. L’integrazione militare è molto vicina, quella economica è complessa da finalizzare. L’unione politica è il terzo passo, quello più controverso, più difficile, più pericoloso. “Le ho chiesto di venire – ha detto Putin – per  riassumere i risultati di quanto è stato fatto di recente nella creazione del programma dell’Unione statale”. Lukashenka ha detto che ci sarà una grande svolta, che i negoziati sugli accordi stanno andando avanti, che russi e bielorussi “lavorano come un singolo popolo” e che forse sarà tutto pronto per la fine di ottobre. I rapporti sono sempre più impari. Il bielorusso davanti al presidente russo balbettava, cercava di non guardarlo negli occhi. Lukashenka continua a chiedere soldi ma non ha nulla da offrire se non la sua nazione.

 

I rischi però di una maggiore integrazione esistono anche per la Russia. I negoziati stanno durando molto e il Cremlino inizia a spazientirsi. Tra i russi il sostegno a Lukashenka non è popolare e, a ogni incontro, Putin si avvicina sempre di più al dittatore bielorusso, si espone. Il politologo Gleb Pavlovskij ha detto al Foglio che di errori con Lukashenka Putin ne ha fatti tanti, che il presidente russo sa che il dittatore gli serve soltanto per controllare la Bielorussia, ma si sta spingendo troppo oltre, come quando si mise dalla sua parte dopo il dirottamento dell’aereo Ryanair. Il problema bielorusso per la Russia rimane aperto, la domanda è sempre la stessa: cosa fare con Minsk. Lukashenka ormai è la garanzia che Mosca controlla la Bielorussia, “Lukashenka è la maniglia che serve a portare la valigia”. Un orpello necessario per Putin, che, prestito dopo prestito, sta pagando anche a caro prezzo.

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